domenica 8 febbraio 2015

La maggior parte delle persone che fanno parte della pastorale carceraria sono per lo più donne, mamme, nonne. Molte di queste persone hanno avuto un figlio o un parente in carcere e sanno benissimo com'è questa realtà, è tatuata sulla loro pelle e nei ricordi. Sono donne semplici, c'è chi ha studiato e chi no, ma piene di coraggio e di esperienze insegnate dalla vita e dai cammini impolverati della storia, dalle loro storie. A volte capita che in alcuni lavori di gruppo, quelli dove ci si confronta sulle esperienze nelle varie equipe, ho il privilegio di ascoltare alcune delle loro storie e di pesi che hanno caricato sulle spalle: chi ha perso un figlio, chi una nipote assassinata, chi un nipote in carcere o ha avuto un figlio in carcere, chi ha lottato contro un cancro.....pesi e pesi caricati su spalle minute e fragili, ma non così fragili da venirne schiacciati. Tanta forza c'è in queste donne, tanta fede e positività nel leggere la vita e la bellezza di dedicare tempo e cura per gli altri, per i detenuti o in altre attività pastorali dove sono inserite.Tutto è fatto con semplicità negli incontri in cui vado, semplicità nel parlare, nel dialogare, nell'organizzare le cose, ma questa semplicità, che per alcuni può sembrare poco professionale e debole, in realtà è quella che fa mandare avanti le cose, è quella che dirige le file di un lavoro pastorale fatto da persone comune, nessun accademico, ma che da anni ha la sua importanza e credibilità. Sì, gente comune, gente semplice, ma che sa sporcarsi le mani, che sa portare avanti le cose, perché ci crede, perché lo desidera, perché è capace di guardare il mondo non dall'alto di una cattedra o da un sapere erudito, ma da un sentire che parte da dentro, dal cuore, dalla pelle e dai quei tatuaggi invisibili creati dalle tante esperienze della Vita.

"A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca"
(don Milani)



Nessun commento:

Posta un commento