sabato 28 febbraio 2015

Gli spari li ho sempre sentiti in televisione, mi ricordo da bambina il suono "bang, bang" che riecheggiava nei film che mio nonno assisteva, gran appassionato del genere western alla John Wayne.
Un suono che hai sempre pensato facesse parte della TV , a qualcosa che sicuramente apparteneva ad un'altra realtà, a qualcosa di lontano, mediatico, fuori dalla tua vita e dalla tua storia.
Ma stando qui le cose si sono capovolte, quei suoni metallici sono usciti dallo schermo e si sono trasformati in qualcosa di vero, reale, vivo. Oggi pomeriggio nel piccolo gruppo Espaço Esperança , gruppo di pittura del venerdì che seguo assieme all'equipe della Pastoral da Criança, gli spari li abbiamo sentiti veramente. Forti e vicini. E' stata Mayra di tredici anni che se ne è accorta, lei la prima a lanciare l'attenzione per quel suono che subito è stato seguito da altri simili. Momento di gelo nelle nostre facce, pochi secondi che fanno fermare ogni cosa e che ti paralizzano, seguiti dalle consuete domande: "dove...chi...perché...". Sì, erano spari, non c'erano dubbi. In questi giorni stanno ammazzando molte persone, giovani, quasi uno al giorno. Non si sa bene cosa stia succedendo, pare un continuo regolamento di conti, solo che si sta allargando, estendendo. E' da un pò che non succedeva. L'altro giorno hanno ammazzato una persona, uscita di prigione da pochi giorni, era stata in carcere perché aveva ammazzato un poliziotto, subito la vendetta fuori dal carcere. Poi è stato ammazzato un giovane vicino ad una scuola, regolamento di conti, droga, spaccio. E poi un'altro...e poi un'altro. La cosa strana è che quando succedono questi episodi la polizia non passa, come se sapesse e lasciasse fare. Passa solo quando è tutto regolare (in realtà non c'è mai niente di regolare qui) giusto per fare presenza.  Oggi altri spari e sicuramente altri morti. La gente convive con questa realtà. Quando si commentano certi fatti, silenziosamente, timidamente, senza dilungarsi troppo, per la paura che possano uscire parole sbagliate o udibili a chi non gradisce, se ne parla con una certa abitudinarietà, come se fosse normale. Quello che fa più paura tra le persone è la bala perdida, il proiettile scappato senza controllo, quello che può ferire mortalmente per caso. Poi regolamento di conti, vendette, droga, tutto "normale"....è normale qui, come mi hanno sempre detto. Tutto ritorna come prima, si ritorna a muoversi dopo che quel suono metallico ti paralizza per quei secondi, che pare che si fermi anche il mondo in quegli attimi e la cosa strana è che quando succede c'è sempre un gran silenzio, un silenzio che preannuncia. L'altro giorno al telegiornale hanno mostrato una festa in una città vicina a Belo Horizonte, una festa organizzata da un gruppo di adolescenti.
I ragazzi cantavano e ballavano con armi in mano a suono di funky, con parole inneggianti all'uso della violenza e allo scontro con la polizia. L'età era dai 14 ai 18 anni. A Rio de Janeiro, invece, altri adolescenti hanno creato una rivolta nelle strade del bairro, dopo che un poliziotto durante un'ispezione ha ammazzato un ragazzo di 14 anni, innocente.
La maggior parte delle notizie che si ascoltano sono queste, pochi gli sguardi sui fatti che succedono nel mondo, si sa poco, veramente poco e molta di più l'attenzione a quello che succede dentro il Brasile, nelle sue strade, nelle sue favelas, nelle sue tante realtà e tante sono le cose che succedono, tanti gli episodi di violenza, familiare, legati al crimine, al narcotraffico, alla corruzione, alla povertà, all'ingiustizia....tante, tante cose.....è immenso questo paese.
Noi in questa periferia di mondo, implicitamente ne siamo testimoni, perché succedono nelle nostre strade, nei nostri quartieri, fanno parte dei racconti della gente, della vita della gente, fanno parte della nostra quotidianità, ma è giusto collocare, anche, come in questi episodi si intrecciano altre realtà, belle, positive, popolari che danno speranza, appoggio, lotta e fiducia per una cultura della solidarietà, della giustizia, della "fratellanza", della speranza verso un cambiamento di pace, di bene, di diritti.
Tante sono le persone che ogni giorno credono in tutto ciò e che ci lavorano sopra, con il loro esempio, il loro sudore, le loro mani, il loro cuore, il loro coraggio, la loro determinazione, la loro fede, senza neanche saperlo e senza avere paura....senza avere paura di camminare in mezzo alla strada ed essere colpiti da una stupida bala perdida (da un proiettile perso).









 

martedì 24 febbraio 2015

A  F.  mancava un mese per compiere 19 anni, scavalcare la breve montagna di giorni che lo separavano per spegnere le sue 19 candeline. Ma niente torta, niente canzone di "Parabens" (auguri), niente data da festeggiare in questo 2015, se non il ricordo per i famigliari e gli amici dei 30 tiri di arma da fuoco in mezzo alla strada, alle 18 di sera.
F. è uno dei tanti adolescenti che muoiono per le strade di Contagem, di Betim , di Sabarà, del Minas Gerais. Belo Horizonte e dintorni è l'ottava capitale del Brasile più violenta per omicidio di giovani e  il numero sta aumentando, superando città importanti come Rio de Janeiro e S. Paulo.
 Dal 2010 al 2014 la percentuale di omicidi è cresciuta del 40%.
 Contagem, dove abito, è la quinta città del Minas con un tasso elevato di adolescenti (dai 12 ai 20 anni) morti ammazzati.
 Donna N. vive in Contagem con i suoi 6 figli, che vanno dai 1 a 20 anni, in una casa di mattoni di sole due stanze. Sei mesi fa il figlio di 16 anni è stato ammazzato con due tiri di arma da fuoco, era coinvolto in un giro di cocaina e aveva iniziato a rubare, ma in questi bairros (quartieri) non si accettano errori e chi non sta alle regole del gruppo o della gang viene eliminato o paga, non importa se ha 12, 13 anni o 15 o 16....paghi con la morte e senza pietà, come le 30 pallottole sul corpo di F.
Tempo fa ho partecipato ad un velorio (veglia funebre) del marito di una signora che conoscevamo. E' il settimo velorio che partecipo nel giro di un anno. La morte sta diventando qualcosa di così abitudinario, che il toccarla con mano e il vederla così da vicino mi porta a pensarla come S. Francesco: "Sorella Morte" e forse non fa più paura. In quel velorio del marito di M., nella stanza accanto si stava celebrando un'altro velorio, quello di un ragazzo, conosciuto di vista, ammazzato per regolamento di conti. Il suo corpo era pieno di ferite con un viso che descriveva la paura degli ultimi momenti di vita. Le sue mani piene di buchi in un tentativo di difesa. Ho cercato di immaginare la scena e immaginare quella paura. Mi sono avvicinata alla bara per pregare e salutarlo, ma subito mi son sentita dire di uscire dalla stanza, che non era bene stare li dentro per possibili rappresaglie. Perchè anche questo può succedere qui, uccisioni anche nelle veglie funebri. Vendetta su vendetta, violenza con violenza, senza nessuno rispetto, neanche nel momento del dolore e del silenzio.
 La maggior parte dei giovani di questa periferia muore così, senza neanche la possibilità di veder realizzato qualche sogno. F. per es. come raccontava la sua mamma era appassionato di automobili, suo sogno era comprarne una.
Viviamo in una zona completamente in mano al traffico di droga, le "bocas de fumo" (zona di spaccio) sono dappertutto, questa è la realtà delle favelas, questa è la realtà di queste periferie ai margini delle città e a volte dentro la stessa città. Capita anche di morire per sbaglio per colpa di una pallottola persa, quella tirata durante un inseguimento con la polizia o in un tentativo di vendetta.
 Sì, si  muore anche per sbaglio e molte volte sono bambini che giocano in mezzo alla strada.
Cambiare la realtà? Non è facile, perchè c'è accettazione, c'è paura, c'è complicità, c'è rassegnazione, c'è convivenza con la stessa violenza, c'è abitudine. Pochi sono i programmi da parte dell'amministrazione pubblica per risanare queste aree periferiche e a volte non sono sufficienti. Qui a Contagem c'è un programma che si chiama "Fica Vivo" (stai vivo) rivolto ai giovani del bairro. Fica Vivo propone attività culturali e sportive in quartieri con un'alto indice di criminalità e a volte dà alcune conferenze su tematiche giovanili, ma poca è la partecipazione, molto poca.
Il nostro gruppo Testemunhas da Esperança, nella casa Comboniana, è un'altra piccola testimonianza di cambiamento, un gruppo di auto-aiuto per le famiglie con figli/famigliari che fanno uso di droga/alcool. Sono molto fiera di questo gruppo, piccolo ma importante. Lavoriamo con le famiglie di questi bairros, sperando che queste possano poi "lavorare" dentro le mure domestiche. La nostra è una politica di piccoli passi, perchè solo così ti puoi muovere qua, piccoli, piccolissimi ma significativi passi, che possano aiutare ad aprire un cammino, in una realtà così dura, violenta, marginalizzata che pare non sappia costruire futuro.

      Belo Horizonte e le sue favelas

domenica 22 febbraio 2015

EU APOIO GILVANDER! Io appoggio Gilvander!

Justiça decreta prisão de Frei Gilvander

Il giudice del  municipio di Unai, città della regione Nordest del Minas Gerais, ha decretato un mandato di arresto per frei Gilvander, padre carmelitano consulente della Pastorale della Terra nel Minas Gerais e attivista e militante nel campo dei diritti umani. Frei Gilvander l'ho conosciuto l'anno scorso ad un incontro delle Comunità di Base, è una persona che stimo e appoggio in molte delle sue attività. 
Motivo del mandato è stata la divulgazione di un video che Gilvander stesso ha girato dove denuncia l'avvelenamento della popolazione di questa città, Unai, a causa dell'utilizzo e abuso di agrotossici nella coltivazione di fagioli (piatto base dell'alimentazione brasiliana). Nel video una lavoratrice di una scuola municipale denunciò l'utilizzo di questo alimento nella mensa scolastica e di come molte cuoche si lamentavano dell'odore cattivo e nauseante proveniente da questo prodotto. La città di Unai, denuncia Gilvander, è campione nazionale di tumori, in un anno si sono registrati 1260 casi di persone malate di cancro, la città stessa è una delle maggiori produttrici di fagioli e di uso di agrotossici nell'agricoltura.
Frei Gilvander è un grande compagno di lotte a fianco delle persone più povere e marginalizzate, molte volte è stato minacciato per il suo appoggio alle persone senza dimora e senza terra.
 L'obbligo di ritirare il video da lui girato e messo in circolazione è un attacco alla libertà di espressione e all'informazione, a quella vera informazione che spesso viene occultata da chi ha interesse a nascondere la verità. 
E' giusto sapere che il Brasile è il principale consumatore di agrotossici al mondo.
Secondo il settimanale "Brasil de Fato" consuma da solo il 20% degli agrotossici mondiali, con un consumo pro-capite di 5,2 litri! 
Dal 2008 il business del veleno è cresciuto del 190%, contro una media mondiale del 93%, un triste e doloroso primato. 
Più del 70% delle terre agricole sono coltivate con  monoculture di soia, canna da zucchero, miglio e allevamento di bestiame, quasi tutto viene esportato. Nelle proprietà inferiori ai 10 ettari solo il 27% fa uso di veleni, mentre nelle proprietà superiori ai 100 ettari l'uso è dell'80%, questo mette in evidenza di come la maggior parte dei veleni sia usata dalle grandi monoculture dei latifondisti. 
Un sistema agricolo industriale che inquina e avvelena aria, terra, acqua e arricchisce le grandi produttrici di veleno tra cui: Bayer, Monsanto, Dupont, Basf, Dow, Syngentia/Astra, Zeneca/Novartis, queste le più importanti che possiedono il 70% del mercato brasiliano degli agrotossici. 
Litri e litri di veleni tossici sparsi sul territorio, un danno mortale contro la Vita e il suo ecosistema, contro l'uomo e l'ambiente. 
 C'è un video che raccomando di vedere che si intitola "O veneno està na mesa
"Il veleno è in tavola", che denuncia l'uso degli agrotossici in agricoltura e di come questi arrivano "serviti" direttamente nei nostri piatti. 
Io appoggio frei Gilvander, la sua denuncia che è una mia denuncia, il suo impegno che è un mio/nostro impegno a favore della Vita.




venerdì 20 febbraio 2015

"Ho conosciuto mia madre a 9 anni, dopo che è tornata per portarmi via dalla casa di mio padre e da mia nonna. Ho vissuto con lei fino a 14 anni, poi me ne sono andata, non ne potevo più delle molestie del mio patrigno. Io lo dicevo a mia madre che lui mi toccava e che tentava sempre di avere rapporti con me, ma lei non mi credeva e così ho scelto di andarmene via. Ho vissuto per strada fino ai 16 anni vivendo di espedienti, droga e alcool, poi ho conosciuto un uomo, molto più grande di me che è diventato il mio compagno, sono rimasta incinta ed è nata la mia bambina. Con lui le cose non andavano bene, era violento e minaccioso. Ho preso la mia bambina e sono ritornata per strada. Mi mantenevo prostituendomi  e vendendo droga, sono rimasta incinta del mio secondo figlio. Non ho fatto mancare niente ai miei figli, con i soldi che guadagnavo compravo tutto per loro.....ma ora sono qui e dietro a queste sbarre ho scoperto di essere sieropositiva.
 I miei figli? La mia bambina è con il mio ex compagno, l'altro non lo so."
 Questa è la storia di A. 19 anni.
"Attenta a quando mi stringi la mano, ho ancora la pallottola dentro. E' stato mio marito".
Le ho preso la mano per vedere con i miei occhi quello che mi stava dicendo. Nel dorso una protuberanza dentro la pelle che pare una pietra e nel palmo il segno visibile del foro creato dalla pistola. Sembrava il segno di una stigmate. Non ho fatto in tempo a sentire la sua storia perché era finito l'orario di visita nel CERESP e le guardie mi stavano mettendo fretta per uscire.
Le ho solo preso la mano per salutarla e nel stringerla, la sua preoccupazione: "Attenta....".
Giovane, anche lei, come A. insieme nella stessa cella, insieme in queste storie di violenza.
La maggior parte delle ragazze che sono detenute in questo centro sono tutte giovani, hanno dai 18, 19, 20 anni. Tutte con storie difficili, pesanti, simili tra di loro e molte sono mamme, nonostante la giovane età, oggi D. mi ha fatto vedere la foto della sua bimba di tre anni.
Insieme a loro, nel poco tempo che ho a disposizione, cerco di incoraggiare a ricostruire una vita che ha la possibilità di rinascere, nonostante le ferite e le cicatrici così spesse che sembrano solchi dentro l'anima. A volte, come dice la scrittrice Cora Coralina, basta essere: braccia che accolgono, parola che conforta, silenzio che rispetta, allegria che contagia, lacrima che corre, amore che promuove. Sì, amore che promuove stima, fiducia, appoggio, coraggio.
Si può riprendere in mano la propria vita, anche partendo dai cocci che ci rimangono tra le dita, dopo che l'abbiamo buttata a terra o che ce l'hanno calpestata frantumandola in mille pezzi . Bisogna solo trovare quel nastro adesivo o colla che sappia ricomporre i pezzi e l'unico nastro o colla che conosco e che può aiutare a fare questo si chiama Amore (l'amore che promuove).
Io ci credo in questo e credo in queste giovani vite così appesantite dalle loro esperienze, quei 19 anni che sembrano molti di più nei corpi e nello spirito, tanti cocci frantumati sull'asfalto.
E allora se posso, mi carico un pò di queste pesantezze, attraverso l'ascolto e la condivisione, attraverso parole che sappiano essere colla, nastro adesivo, che sappiamo essere amore che promuove. Credo che quando si incontra una persona che dimostra di avere fiducia in noi, che aiuta a credere in noi, ecco che cambia la visuale di noi stessi, una visuale che aiuta a vedere il bello anche in un vaso pieno di crepe, in cocci che sembravano rotti per sempre.


Amor è uma palavra que acende a gente
Amore è una parola che accende la gente



domenica 8 febbraio 2015


La geografia delle persone......questa è la mia geografia attuale!



Partire dai piedi per arrivare al cuore, per arrivare alla testa.
"Onde pisam os pés
a cabeça pensa e o coração  ama"
(dove poggiano/ calpestano i piedi, la testa pensa e il cuore ama).
Partire dal basso, partire dalla realtà, partire da noi, dalla gente, dalla storia, dalla terra, per sentire con il cuore e con il cuore "sentire" la Vita, accarezzare questa Vita e con la testa prendersene cura, saperla difendere, saperla proteggere e saperla pensare bene.
Piedi, cuore, testa.



La maggior parte delle persone che fanno parte della pastorale carceraria sono per lo più donne, mamme, nonne. Molte di queste persone hanno avuto un figlio o un parente in carcere e sanno benissimo com'è questa realtà, è tatuata sulla loro pelle e nei ricordi. Sono donne semplici, c'è chi ha studiato e chi no, ma piene di coraggio e di esperienze insegnate dalla vita e dai cammini impolverati della storia, dalle loro storie. A volte capita che in alcuni lavori di gruppo, quelli dove ci si confronta sulle esperienze nelle varie equipe, ho il privilegio di ascoltare alcune delle loro storie e di pesi che hanno caricato sulle spalle: chi ha perso un figlio, chi una nipote assassinata, chi un nipote in carcere o ha avuto un figlio in carcere, chi ha lottato contro un cancro.....pesi e pesi caricati su spalle minute e fragili, ma non così fragili da venirne schiacciati. Tanta forza c'è in queste donne, tanta fede e positività nel leggere la vita e la bellezza di dedicare tempo e cura per gli altri, per i detenuti o in altre attività pastorali dove sono inserite.Tutto è fatto con semplicità negli incontri in cui vado, semplicità nel parlare, nel dialogare, nell'organizzare le cose, ma questa semplicità, che per alcuni può sembrare poco professionale e debole, in realtà è quella che fa mandare avanti le cose, è quella che dirige le file di un lavoro pastorale fatto da persone comune, nessun accademico, ma che da anni ha la sua importanza e credibilità. Sì, gente comune, gente semplice, ma che sa sporcarsi le mani, che sa portare avanti le cose, perché ci crede, perché lo desidera, perché è capace di guardare il mondo non dall'alto di una cattedra o da un sapere erudito, ma da un sentire che parte da dentro, dal cuore, dalla pelle e dai quei tatuaggi invisibili creati dalle tante esperienze della Vita.

"A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca"
(don Milani)



venerdì 6 febbraio 2015

....perché ci proviamo, ci proviamo sempre, anche stando dietro ad una fitta grata, dove gli occhi si incontrano in piccoli quadratini di ferro e le parole si mischiano ai rumori di quelle due ore d'aria di libertà....
Inizio così, con queste parole il ritorno delle nostre visite con la pastoral carceraria alla NH.
Dopo la pausa estiva (qui è estate e gennaio equivale come se fosse agosto in Italia) abbiamo ripreso i nostri incontri nel carcere. Finalmente, perché mi mancavano. Io la NH la vedo tutti giorni, 24h su 24h, dalla mia finestra, è la mia "vicina" di casa, fedele nel ricordarmi l'impegno assunto con questa pastorale e alle tante storie che la compongono e in quelle storie ricordare i nomi e i visi che le abitano, così come abitano quelle celle. Se prima facevo visita solo una volta a settimana, il martedì, ora ho iniziato anche il mercoledì, aggiungendo un'altro giorno al mio "lavoro". Questo mi da la possibilità di visitare padiglioni differenti, divisi in una zona alta e bassa della prigione. La zona in alto è la parte dove ci sono i detenuti più pericolosi...dicono...dove ci sono più agenti e più poliziotti che fanno parte dei reparti speciali, quelli con il viso coperto. Io ho sempre visitato la parte in basso e mi accorgo che ci sono queste differenze e che in alto è sicuramente più difficile e il clima è più teso. Non ci permettono di entrare in quegli spazi dove possiamo stare più prossimi ai detenuti, allungando una mano e parlando attraverso sbarre che fanno vedere bene i volti. Siamo costretti a stare in un piccolo spazio, dietro una fitta grata di ferro divisa in tanti piccoli quadratini dove gli occhi devono riuscire ad incontrarsi. Difficile relazionarsi così, con i rumori dei palloni tirati contro la grata o il vocio delle chiacchere dell'ora d'aria, difficile, ma ci proviamo, ci proviamo sempre  e a volte quei quadratini sono così piccoli che fanno venire il mal di testa tanto è lo sforzo per vederci bene.
Questa è la prassi e le misure di sicurezza prese per noi e per ora non possiamo farci niente se non concordare con quello che ci viene chiesto. Ma anche in un piccolo quadratino, per quanto scomodo possa essere, ti si apre una storia, un nome, una richiesta, un saluto e una preghiera.
Dicono che nei padiglioni della parte alta ci sono persone legate al PCC (primeiro comando da capital)....dicono.....
Il PCC è un organizzazione criminale che nacque negli anni novanta nelle carceri di S. Paulo, creata da detenuti, per continuare a dirigere traffici o esecuzioni o mandati fuori dal carcere. A volte è artefice nell'organizzazione di evasioni dal carcere, rivolte in cella, traffico di droga e attività terroristiche. Fa paura, mette paura e comanda. Da S. Paulo si è poi diffusa nelle varie carceri brasiliane, anche qui nel Minas Gerais. A volte rimango basita quando vengo a conoscenza di certe cose, brividi, incredulità, amarezza, ma serve, serve molto per far morire quel'ingenuità che non è bene che abbia spazio in certe ambienti.