lunedì 28 dicembre 2015

domenica 27 dicembre 2015

Dicembre


Mi piace questa foto, anche se non è perfetta.....ma noi non siamo perfetti, per questo siamo BELLI!!!
Sono le nostre imperfezioni a dare quel tocco di originalità che ci rende speciali.
 Imperfezioni fisiche, caratteriali, personali: NOI con le nostre piccoli e grandi storie.
Questo è il gruppetto di Espaço Esperança, nel giorno di chiusura per la pausa estiva/natalizia (Natale qui cade in estate, nei mesi estivi!). 
Dicembre è il mese delle confraternizaçãos, delle feste per dirsi Grazie, per dirsi Arrivederci e per fare un piccolo bilancio prima di iniziare il nuovo anno.
Anche il nostro piccolo gruppetto ha voluto dirsi Grazie con la voglia di ritornare a febbraio, mese in cui si riapre (gennaio è periodo di ferie). 
Nonostante le difficoltà andiamo avanti, in un bairro carico di molta violenza e traffico di droga.
Ci siamo, restiamo e resistiamo fino a quando le nostre condizioni ce lo permetteranno. Io e Lucilene siamo le uniche due volontarie.
Il mercoledì pomeriggio è l'appuntamento fisso con il nostro gruppetto di artigianato, fatto di adolescenti, bambini con situazioni familiari difficili, alla ricerca di un posto dove imparare, inventare, creare, socializzare, stare!

Dicembre.....
è messa di Natale alla penitenziaria NH, luogo che è diventato per me una seconda Comunità.
Celebrare il Natale con i detenuti è celebrare il Natale della giustizia, del perdono, della Misericordia, dell'inclusione, della Vita che non smette di esistere dietro una grata, di una Vita che sa e può rinnovarsi. Quel Bambino che si aspetta in quella notte è un Bambino che arriva per tutti, nessuno escluso, ogni cuore è una "mangiatoia" pronto ad aspettarlo.









Dicembre....
è la Novena fatta nella nostra Comunità del bairro di Ipe Amarelo.
Un incontrarsi per riflettere insieme sul significato del Natale, nella nostra vita, nella nostra Comunità. Un 25 dicembre che è solo un giorno o quel giorno si moltiplica nei miei giorni?
Il nostro bairro è un bairro povero, costituito da gente semplice e di grande vulnerabilità, in una periferia di mondo fatta di violenza, povertà, esclusione. Ma anche qui si trovano le luci di Natale sistemate in qualche modo su muri di mattoni e cemento e brillano che è un piacere nell'oscurità della notte...brillano di più che nel centro della città.
Questa Comunità, poi, mi ha fatto un gran regalo....perché dicembre è anche il mio compleanno.....una serenata inaspettata per festeggiarmi, una serenata dopo il nostro incontro di novena. Una bella e meravigliosa sorpresa. E' proprio vero che i doni materiali non hanno nessun sapore, ne valore rispetto ai doni del cuore e alla bellezza dei semplici gesti, fatti di gratitudine.
Straordinaria emozione!







Dicembre.....
è la bellezza del Natale e di quel Mistero che continua a camminare con noi.
Che i nostri cuori possano essere davvero una mangiatoia capace di accogliere con allegria e amore quel Bambino che ogni anno non si stanca mai di incarnarsi in questo mondo.

                                                                       Feliz Natal


Dicembre.....
è la fine dell'anno. 
Tutti con lo sguardo all'insù, verso quei sogni e speranze che si accendono con i fuochi d'artificio,.
Per me sarà l'inizio di una nuova tappa, la terza, il mio terzo anno in missione.
Mi sembra ieri che iniziavo a scrivere su questo taccuino digitale, ma poi riflettendoci bene mi accorgo che non è così. I due anni trascorsi si sentono, sulle spalle, un poco più curve, sui miei piedi, un poco ammaccati, sul mio volto, con qualche ruga in più, sui miei pensieri, carichi di tante emozioni e scoperte, belle e meno belle. Ora vado aggiungere il terzo anno e anch'io con il mio sguardo all'insù carico di speranze e attese. Il 2015 è stato un anno importante, bello e leggero nella prima parte, pesante e faticoso nella seconda...molto pesante, in particolare nella vita comunitaria.
 Ma è stato un anno che mi ha visto entrare sempre di più nel mio servizio missionario, che mi ha visto raggiungere una certa autonomia nelle scelte, fatte con impegno e coraggio, fatte con dedizione e interesse, fatte con passione. E' questo servizio che mi ha sempre aiutato a darmi la carica per andare avanti, a non mollare, a saper togliere di dosso quella polvere sporca e pesante che inciampava il mio cammino. 
La pastorale carceraria, il gruppo di famiglie Testemunhas da Esperança, il piccolo gruppo Espaço Esperança, gli incontri in APAC femminile, la Comunità di Ipe Amarelo, sono diventati le mie priorità, il mio esserci, la mia condivisione, il mio "presepe" vivente....e io dentro a questo presepe.













mercoledì 23 dicembre 2015

E se devi abbracciare fallo forte. O non farlo affatto. L'abbraccio è una cosa seria. Se qualcuno mi chiedesse "Qual è il posto migliore in cui sei stato?", risponderei "Un abbraccio, quell'abbraccio". Respiri emozioni che il respiro te lo tolgono. E vuoi tornarci. Vuoi tornarci più volte che si può. Da certi abbracci non ci esci mai abbastanza. Sono attimi che ti cammineranno dentro per sempre. Ti faranno piangere o sorridere. Avrai tante parole o un nodo in gola da non poterne parlare.
A. De Pascalis

Bello questo piccolo testo di De Pascalis, me ne sono innamorata e così ho voluto ritagliarlo e incollarlo tra le pagine dei miei appunti. Sì, l'abbraccio è una cosa seria. Nell'abbraccio ti puoi riposare, ti puoi ricaricare, ti puoi sostenere, ti puoi donare.
L'abbraccio può superare anche le barriere di una grata di ferro, che ostacola sì, ma che non ferma il desiderio di volersi bene e ringraziarsi. Le braccia in qualche modo arrivano al cuore, nonostante quella barriera non permetta di appoggiare la testa per riposarsi uno sulla spalla dell'altro.
Certi abbracci nascono così, come oggi alla penitenziaria NH, per dirsi "grazie" per dirsi "Buon Natale e...buon compleanno" , abbracci sinceri che fanno piangere o sorridere.
Mi sto rendendo conto di quanto il mio servizio missionario nella pastorale carceraria sta entrando sempre di più nella mia vita, quanto tempo ci sto dedicando e di come questo sta occupando sempre di più i miei pensieri. Ci metto me stessa in questa battaglia per cercare di cambiare un'idea di carcere che non sia solo punitivo, ma al contrario educativo, che rispetti i diritti umani e che aiuti nella recuperazione dei detenuti. Detenuti/e che non sono scarto della società, ma uomini e donne capaci di cambiare, di recuperare la propria vita e di renderla migliore. Pagare la propria colpa senza umiliazioni, violenze, ma con dignità e rispetto, perché è questo che deve insegnare la società.
Ognuno cresce solo se è sognato diceva Danilo Dolci, se è valorizzato, stimato e amato.
Saper abbracciare aiuta a fare anche questo, ma solo se è fatto seriamente, se è un abbraccio sincero e carico di quei sogni che aiutano a crescere.
E in prigione c'è bisogno di tanti abbracci, soprattutto di quelli che aiutano a perdonare e perdonarsi.


lunedì 7 dicembre 2015

Oggi sono andata a far visita alla madre di una detenuta.
La casa si trova in una favela di Belo Horizonte.
E' la prima volta che visitavo la persona e il posto.
Mi sono trovata di fronte ad una situazione di estrema miseria materiale e umana.
Durante le mie visite in carcere A. (detenuta) mi aveva informato della realtà fragile e preoccupante in cui viveva con sua mamma, prima di essere presa, una realtà di forte vulnerabilità.
Oggi ho trovato conferma nelle sue parole, nelle sue preoccupazioni e nei suoi pianti, che mi hanno spinto a fare questa visita.
La casa, se così si può chiamare, è formata da due sole stanze buie e con un pavimento di terra. Niente piastrelle e solo muri di mattoni, senza essere rivestiti dal cemento.
Poche cose, vecchie e malandate, con una scarsa cura nell'insieme.
Nel ricevermi una signora di soli 51 anni, con un aspetto che ne dimostrava molti di più e un bimbo sempre in braccio che ancora non cammina: sono la mamma di A. e suo figlio di soli 11 mesi.
La signora parlava sempre con la testa bassa, quasi si vergognasse della sua situazione, descrivendo un passato di alcool e depressione, di precarietà e difficoltà economiche al limite della sopravvivenza.
Ascoltando la sua storia il mio pensiero andava ad A. e mi era chiaro il perché delle scelte sbagliate che aveva fatto, non per giustificarle, ma per comprenderle.
 Sono praticamente sole, nessun marito o uomo di casa che possa aiutare, uomini che non esistono, se non negli abbandoni e violenze ripetitive impresse nei ricordi di queste giovani donne, madre e figlia.
Sono uscita da quella casa con una profonda tristezza e tante riflessioni.
Man mano che l'autobus si avvicinava al centro, pieno di negozi in stile natalizio, mi chiedevo come sarebbe stato il Natale per quella signora e quel bimbo.
Di certo un Natale non seduta ad una tavola apparecchiata con una bella tovaglia, con piatti ricchi di cose buone da mangiare, con gente allegra che si scambia auguri, sorrisi e abbracci.
Niente regali e regalini, niente pensieri o pensierini.
Un Natale in solitudine, con una figlia in carcere e un bimbo che a mala pena la sa abbracciare, in una casa fatta di niente, buia e sporca, in un luogo dove gli addobbi natalizi non arrivano.
E assieme a lei mi sono venute in mente tutte le detenute e detenuti che cominciano a pensare al Natale come ad un giorno triste, perché non potranno sedersi ad una tavola con i loro familiari.
Sarà dentro una cella piena di ricordi.
Poi penso a chi vive per strade, a chi non ha niente, a chi....e penso a come è diverso questo Natale per loro, così lontano da quello sponsorizzato dalla televisione.
Sarà che ho iniziato a vedere le cose dall'altro margine, quello dove si fa fatica a scavalcare perché disturba e "sporca" l'immagine bella e patinata di una realtà "perfetta", un margine dove si incontrano gli abbandonati, i carcerati, le famiglie in situazione di povertà, gli esclusi.
E allora penso a come mi piacerebbe prendere una bella tovaglia e collocarla su una tavola lunga, lunghissima dove si possono sedere tutte le persone provenienti da questo margine, una tavola imbandita di tutte le cose buone che si mangiano a Natale, una tavola dove si respira la spensieratezza dell'allegria. Un Natale per tutti.
E penso a come bisogna saper ringraziare quando si ha e si può, non perché ci si deve sentire in colpa, ma perché bisogna sentirsi grati delle cose che si hanno e che si ha la possibilità di vivere, senza lamentarsi. Grazie è una bella parola.
Sarebbe bello ritornare a vivere il Natale nel suo significato più profondo, ma dipende da noi e dalla voglia di saper scavalcare quel margine che divide e separa, magari iniziando a sederci accanto a chi non è mai invitato.









sabato 5 dicembre 2015

pisca-pisca......così si chiamano le luci di Natale qua.
Anche noi abbiamo iniziato ad addobbare la nostra casa in stile natalizio, per la felicità delle bimbe dei nostri vicini di casa che dividono il cortile con noi.
Pisca-pisca intrecciate tra le foglie dell'uva, in uno spazio fatto di mattoni e terra, di fiori e piante, con al centro un cattura sogni che imprigiona i pensieri tristi e i sogni non buoni.
Agata e AnaFlavia, di 4 e 1 anno e mezzo, danzano sotto i colori delle piccole luci natalizie assaporando l'arrivo dei giorni di festa.
E' un'atmosfera tutta particolare, lontana dalle luci commerciali della città e da quel Babbo Natale sponsorizzato dalla Coca-Cola. Il nostro sponsor sono le risate delle bimbe e i loro "ohh..." quando le luci si accendono.
Quell'accendersi e spegnersi colorato illumina il buio della notte, regala sorrisi e rende leggeri i pensieri.
...pisca-pisca.....




Lavori di artigianato allo Espaço Esperança:




Ecco alcuni lavoretti del mercoledì pomeriggio, giorno della settimana dedicato all'artigianato.
Spazio Speranza ora è solo il mercoledì pomeriggio e resiste affrontando le sfide numeriche e motivazionali. Ci sono giorni in cui ci troviamo di fronte ad un numero di ragazzini/e numericamente bello animato e altri che si contano solo sulle dita di una mano. Ma noi continuiamo finché sarà possibile, per offrire un'alternativa in un bairro dove regna droga e violenza e nient'altro!
Per ora io e Lucilene ( una volontaria) ci occupiamo di questo spazio, chi portava avanti teatro il venerdì pomeriggio ci ha rinunciato.......sarà che per noi i numeri non sono così importanti, 7, 8, 10 persone è bello lo stesso, come 4, 3 o 2. Quando si conoscono le storie di questi ragazzini/e ti fa venire voglia di continuare e di creare quell'alternativa che può generare speranza e accoglienza.
Per esempio, Carlos ha 12 anni e vive solo con suo nonno, un signore anziano che non si prende cura di lui. Passa la maggior parte del suo tempo per strada, è un piccolo "bulletto" di quartiere che ascolta musica funky e si atteggia da persona grande. Sappiamo cosa significa vivere per strada qui, entrare in certi giri e buttare la propria vita a rischio e lui lo sta già facendo.
Carlos è solo un bambino che è stato dimenticato, pieno di ferite e vuoti che lo stanno trascinando giù.
E se anche partecipa il mercoledì pomeriggio una volta si e due no, tenere la porta aperta di Espaço Esperança quel giorno della settimana è importante.


sabato 28 novembre 2015

Quanto VALE la vita per una multinazionale?



Eccolo questo fango tossico che entra nell'Oceano, dopo aver percorso il Rio Doce e aver distrutto tutto quello che incontrava, eccolo ora sporcare le acque del mare, per fare altro male!
Soffre il cuore a vedere questa immagine, soffre per un disastro ambientale che avrà conseguenze che dureranno fino a trenta anni o fino a un secolo, secondo gli ambientalisti.
420 km percorsi dal fango di rigetto estratto dal lavoro minerario dell'impresa Samarco, impresa della Vale e dell'australiana Bhp (Billington). 62 milioni di metri cubi di materiale tossico pari a 25,000 piscine olimpiche, 1,2 milioni di persone colpite in 39 municipi, 36 nel Minas Gerais e 3 nell'Espirito Santo, 13 persone morte e 11 dispersi (numeri ufficiali fino al 26 novembre).
Tanta, tanta tristezza. Tutto è morto in quella terra, tutto è stato contaminato, è un panorama spettrale. Si vieta alle persone di bere acqua del rubinetto, dove esce acqua rossa, fango tossico, si vieta la pesca (non esistono più pesci!) si vieta di avvicinarsi alle acque del fiume, popolate di animali morti: uccelli, mammiferi, rettili. Le falde acquifere sono state inquinate. La gente deve fare la fila per la distribuzione di acqua potabile, con vere e proprie risse e lucro nelle vendite di bottiglie.
 Dilma Rousseff ha dichiarato che la Samarco pagherà una multa di 250 milioni di reais, pari a 66,3 milioni di dollari, ma intanto il danno è fatto!
La Samarco non ha mai avuto un piano di prevenzione e di evacuazione in caso di incidenti, non aveva sirene di allerta, ignorava le misure di sicurezza. Peggio ancora, stava tentando di allargare la diga per aumentare il materiale tossico di estrazione, visto la domanda di aumento di ferro nei mercati. Irresponsabilità, menefreghismo, poca cura, illegalità tutto ha causato questo grave disastro che non ha prezzo e che non si può salvare.
L'impresa, ancora oggi, non si dichiara esplicitamente sull'accaduto, vaneggia, perde tempo, sposta le persone che hanno perso casa dentro un'albergo (non di categoria A) e mente, mente spudoratamente. Ha dichiarato che i suoi fanghi non sono velenosi e che il Rio Doce e gli altri fiumi investiti dal fango, sono rossi solo per l'alto contenuto di ferro, che le acque del fiume non sono tossiche, ma i dati sono stati immediatamente contestati da vari istituti scientifici, che non hanno trovato un'ampia diffusione attraverso i media.
La Samarco sta pagando per ottenere il silenzio, sta corrompendo, dietro di lei c'è il potere della grande multinazionale Vale, c'è il potere degli interessi economici e politici.
Ricordo che in Brasile le imprese finanziano i partiti politici, le campagne elettorali, entrano nello stesso governo e ....chi paga l'orchestra sceglie la musica!
Un'altra cosa triste è che la popolazione non ha reagito in grande scala all'accaduto.
Per es. a Rio de Janeiro erano solo in 300 a protestare. Ci sono manifestazioni, ma di piccola portata e se ne parla poco, veramente poco.
Quando anche la comunicazione è corrotta, ed in mano alle imprese, la società pensa poco e pensa male.
Intanto il cuore del Minas sta ferito, sanguina fango e materie tossiche e lacrime per ciò che ha perso per sempre.


....sapere, osare, volere e diffondere....contro un imperialismo mediatico che manipola la verità.






























mercoledì 18 novembre 2015

"Che bandiera mettiamo adesso?"
Questa è una frase che ho letto in un social network, perché dopo gli attacchi di Parigi, ecco arrivare le notizie di altri morti, altre stragi...Siria, Kenya, Nigeria.....e la gente non sa più che bandierina collocare sul suo profilo per esprimere solidarietà.
Tante sono le morti, tante le stragi che stanno sporcando di sangue il nostro mondo, in ogni angolo del mondo. Stragi terroristiche, di guerra, di catastrofi ambientali, di violazione dei diritti umani, stragi contro l'umanità intera. Forse la Terra non è più azzurra quando la si guarda dall'alto, è rossa, come questo sangue che macchia la sua anima e ci macchia di conseguenza.
Io non colloco nessuna bandiera, non voglio collocare bandiere di parte, perché dovrei collocare non solo quella francese, ma anche quella siriana, keniana, nigeriana, brasiliana, libanese e tante, tante altre. La mia bandiera è quella fatta di tutti i colori, quei colori che fanno la differenza nella loro specificità e dignità. La bandiera della Pace e della Misericordia, la bandiera dei Diritti Umani, da scrivere sempre in maiuscolo, perché dimenticati e oltraggiati, come se fossero cosa piccola senza nessuna importanza, la bandiera dell'Informazione senza censura, sappiamo quello che sta succedendo in altre realtà? o come veniamo manipolati dalle notizie? sappiamo veramente il perché delle cose? o crediamo come spesso ci vengono a dire che tutti i buoni sono da una parte e tutti i cattivi dall'altra!
Nessuna bandiera, ma tutte le bandiere, nessun pianto e sdegno solo per un luogo, ma lacrime e indignazione in tutti i luoghi. Non possiamo sempre dimenticare o fare la lista dove collocare al primo posto questo o quello, certo è vero ci sono delle priorità, ma valgono per tutti i morti e le catastrofi e le strage che uccidono Vite, uccidono la Pace, uccidono popoli e ambiente.
Ogni persona uccisa ingiustamente in questo mondo, è una perdita per l'Umanità intera, tutti perdono, tutti perdiamo.
Io dico No ad una strategia del potere, io dico No ad una strategia di parte, io dico No ad una sola bandiera, io dico No a chi divide i popoli tra "buoni e cattivi", io dico No ad un solo pianto, io dico No alla paura che genera odio.
Questa mattina nel nostro momento di preghiera comunitario ho collocato sul tavolo un mondo capovolto, ho circondato questo mondo con i nomi dei paesi dove sono e stanno avvenendo stragi e disastri ambientali e umani (come qui nel Minas Gerais), ho collocato poi la parola mondo che racchiude tutto e due piedi (i nostri piedi) che ci camminano sopra.
Il Dalai Lama in una sua dichiarazione, ha affermato, che non serve a niente pregare Dio per delle colpe che sono solamente nostre, Dio non c'entra niente! Ha ragione, Dio non c'entra niente, ma la mia preghiera serve a tenermi vigile, serve a non dimenticare quello che sta succedendo, serve a responsabilizzarmi e responsabilizzarci per quel "miracolo" che parte da noi e che non dobbiamo chiedere a Dio, perché forse è proprio Dio che ci chiede di responsabilizzarci in questo mondo assumendo le nostre colpe.







venerdì 13 novembre 2015

Giovedì 5 novembre 2015 sarà una data che verrà ricordata nella storia del Minas Gerais, perché ha segnato una delle tragedie più gravi che sono accadute in questo paese.
 Nel distretto di Mariana, a circa 108 km da Belo Horizonte, il cedimento di una diga, costruita per contenere acque reflue dell'industria mineraria, ha provocato la fuoriuscita di tonnellate di fango che hanno travolto il villaggio di Bento Rodrigues, cittadina nella regione centrale del Minas.
La forte corrente di melma e residui ha praticamente sotterrato e sommerso tutto ciò che ha incontrato e che continua ad incontrare nel suo cammino. A Bento Rodrigues vivevano circa 600 persone che hanno perso tutto, ci sono, ancora, molti dispersi che non sono stati ritrovati sotto la densa coltre di melma. Gli abitanti della zona sono per lo più persone che vivono di agricoltura e operai della miniera, persone semplici e di basso reddito.
E' una tragedia in termini di vite umane e distruzione ambientale.
Questo fango sta contaminando le falde acquifere del territorio perché composto da elementi tossici e nocivi. Flora e fauna sono completamente distrutte, a rischio la salute delle persone e la perdita dell'economia locale.
La zona di Mariana è stata oggetto di intenso sfruttamento minerario, soprattutto di oro e ferro, sin dalla colonizzazione portoghese, oggi dalle grandi multinazionali del settore, che con la loro irresponsabilità continuano a creare morte e distruzione.
La diga che conteneva scarti minerari appartiene alla compagnia di estrazione Samarco, che è di proprietà della Vale. La Vale è produttore mondiale di ferro con giacimenti in 38 paesi ed è tra i principali costruttori di dighe e ferrovie. E' una multinazionale, nata in Brasile, con una lunga storia di saccheggio ambientale, sfruttamento e violazione dei diritti umani. In Canada, dove la Vale ha acquisito la International Nickel Company (INCO) i minatori vivono continue condizioni salariali e contrattuali precarie. In Mozambico usa la forza per espropriare terreni per la creazione di nuove miniere, espropriando con il trasferimento forzato la popolazione locale, così come in Perù gruppi di paramilitari sono assoldati per reprimere etnie locali. In Italia la Vale esporta ferro, devastando l'ecosistema della foresta amazzonica, per l' ILVA di Taranto.
In Brasile le sue industrie sono responsabili del 4% delle emissioni di CO2 e usano 1,2 miliardi di metri cubi di acqua all'anno, che equivalgono al fabbisogno di 22 mila persone, in una situazione di grave carenza idrica. La popolazione del Minas Gerais sta vivendo un grave periodo di siccità, con la razionalizzazione di acqua da parte di alcuni distretti locali.
Per non parlare di discariche e sostanze tossiche nei fiumi, oceani e inquinamento ambientale con l'emissione di polveri sottili.
Finora la Vale è stata imputata di 111 processi e 150 richieste giudiziarie, con accuse che vanno dalla violazione dei diritti umani a inquinamento aggravato, ma niente è riuscita a scalfire questo grande colosso.
Ora l'ennesima tragedia a scapito di vite umane e ambiente, un disastro che mette tristezza, sconforto e indignazione. I grandi interessi economici fanno sempre da padrone nei grandi palazzi della politica nazionale e internazionale.
La Vale ha già schierato i suoi efficienti avvocati per discolparsi di un "incidente", come lei stessa ha dichiarato, per nascondere l'irresponsabilità e la noncuranza di quanto è accaduto.
Soldi e corruzione sono già pronti sul tavolo degli imputati
Quello che possiamo fare come società civile è denunciare e non permettere che queste criminalità rimangano impunite e taciute, con il rischio di essere dimenticate.
Il senso di impotenza scoraggia quando si lotta contro i grandi mostri del profitto, al servizio di una economia che non rispetta la nostra "Casa Comune", la Terra e i suoi abitanti, ma questo scoraggiamento non deve permettere di arrenderci e di credere che non si possa fare niente.
Possiamo, possiamo fare. Possiamo parlare, far circolare informazioni, denunciare, responsabilizzare e responsabilizzarci, fare rete, prendere posizioni, coinvolgere.
La Vita delle persone, la salvaguardia dell'ambiente non può venire schiacciata dall'indifferenza e dal silenzio mediatico.
Insieme si può fare molto, perché....."quando le formiche si mettono d'accordo possono spostare un'elefante!"
A noi la scelta da che parte stare e come stare.



lunedì 9 novembre 2015

Ore 23 della notte, spari nella nostra strada, 4 colpi che sembrano quasi toccarti.
Divieto assoluto di uscire per sapere quello che sta succedendo, silenzio, poi di nuovo altri colpi....
Brividi!
Una sparatoria nella nostra via.
Il suono delle armi, dei tiri di proiettile è qualcosa di angosciante, fa paura, ti entra dentro.
Chi hanno ammazzato? Chi stanno cercando? Quale famiglia è coinvolta?
Il silenzio che invade la strada respira di morte, anche con le finestre e le porte chiuse.
Quanta violenza, quanta facilità nell'impugnare un'arma, quanto poco valore ha la vita in questa periferia. Non c'è pace, non c'è proprio pace in certi contesti dove accanto alla data di nascita trovi anche quella della morte, in una età che non supera i trenta anni.
Che orrore questa violenza!





venerdì 6 novembre 2015

Le donne sono quelle che soffrono di più in prigione.
Soffrono di più, rispetto agli uomini, per la mancanza dei figli. Quando si è madri, in qualche modo, si rimane attaccati a quel cordone ombelicale che si è custodito per nove mesi.
Soffrono di più perché sono spesso dimenticate, dai padri, dai mariti, dai figli.
Soffrono di più perché discriminate in una società maschilista che impone la visione della donna come oggetto, come prostituta, collocata, dalle leggi del patriarcato, in un gradino inferiore rispetto all'uomo.
Soffrono di più perché non hanno cure e attenzioni nei momenti particolari della vita, dalla maternità, alla cura e igiene personale.
Soffrono di più perché nessuno parla di loro.
Qualche anno fa una coordinatrice della Pastorale Carceraria nazionale dichiarò che per lo Stato e la società, pare che esistano solamente più di 440 mila uomini e nessuna donna nelle prigioni del paese, solo che una volta al mese 28 mila di questi detenuti mestruano.
Ogni volta che vado a far visita al C. femminile di Belo Horizonte mi rendo conto di come questa disparità e dimenticanza sociale esiste. La maggior parte delle detenute sono ragazze che vivevano per strada, quando si aprono le porte del carcere nessuno chiede di loro.
Hanno bisogno di tutto, da oggetti per l'igiene personale, ad indumenti intimi.
 C'è chi usa la mollica del pane al posto degli assorbenti, chi non ha un pettine o una saponetta per lavarsi, chi usa gli spazzolini in comune, con il rischio di trasmettere malattie come l'epatite e l'HIV.
Quando parlano, poi, dei figli gli occhi cominciano a farsi rossi e gonfi, pieni di lacrime.
I rispettivi compagni o mariti spariscono o sono in carcere, i genitori sono invece memoria di un passato lasciato alle spalle.
La droga, la prostituzione, la strada hanno consumato i loro corpi, con una vecchiaia fisica che non corrisponde all'età anagrafica.
C'è chi continua a tenere un atteggiamento di prepotenza nelle parole, nei gesti, ostentando rabbia nei confronti della società e del mondo senza sentirsi in colpa per il crimine commesso, giurando di continuare a rifare le stesse cose una volta uscita di prigione e c'è chi, invece, piangendo promette di cambiare vita aggrappandosi a sogni pieni di speranza e pieni di tante paure.
Sono venuta a sapere che i locali del C., negli anni della dittatura brasiliana, erano utilizzati come centri di tortura, la stessa Dilma Rousseff  è stata incarcerata e torturata negli anni di prigionia in Belo Horizonte.
Le torture di oggi sono fatte di violenza psichica, fisica, di discriminazione, di abbandono, di non rispetto. Lo spray al peperoncino viene ancora utilizzato per sedare risse tra le stesse detenute, intossicando e mettendo a rischio tutte quante.
L'autorità e il potere è usato per negare le due ore di libertà nel patio o l'uso della televisione (un solo canale e solo della chiesa evangelica) per castighi e per mantenere la sicurezza in situazioni di disagio.
Credo che la sicurezza non si mantenga con soprusi, divieti e uso della forza, tutto ciò non fa che che aumentare odio e desiderio di ribellione.
Si esce sempre molto caricati da questa struttura, si è carichi delle storie che si ascoltano, si è carichi dell'indignazione per situazioni al limite della dignità umana, si è carichi delle richieste che le detenute ti affidano, si è carichi dei momenti di condivisioni fatti di scambi, di parole, preghiere e speranze.
Poche le politiche sociali per le donne nelle carceri, poche le attenzioni e la cura da parte dell'informazione, dei media, della società in generale, forte la discriminazione.
 Una donna in carcere è solamente una prostituta, una drogata, una vagabonda, una trafficante, la complice di un bandito, una poco di buono, ecc...ecc...ecc....
Dietro a quelle etichette ci sono storie, nomi, maternità, diritti, emozioni, vite, che devono essere rispettate e ascoltate.
Ogni Vita è sacra.






martedì 3 novembre 2015


...sulla strada verso Boff!
Ieri sera io, Raylene e Priscilla (lmc) siamo andate ad ascoltare Leonardo Boff per la presentazione del suo nuovo libro: Ecologia, Scienza, Spiritualità.
Che dire, lasciatemi gasare un pò, solo un pochino!
Dopo aver conosciuto Carlos Mesters ieri è stata la volta dell'illustre Boff  teologo, docente, scrittore e tra i padri della Teologia della Liberazione.
Uno dei temi cari a Boff è quello dell'ecologia integrale, superando il concetto di ecologia ambientale, secondo la quale pensa che l'essere umano sia al di fuori dell'ambiente e della natura, ma al di sopra, dominandola. Al contrario tutte le cose stanno interconnesse formando un grande tutto. Tutto sta in relazione e niente esiste fuori di questa relazione, questo dimostra che i problemi sono  legati tra di loro e devono essere affrontati simultaneamente (globalizzazione...interdipendenza...)
Boff ha sempre parlato, lavorato in una direzione etica, culturale, spirituale che parla del prendersi cura della Casa Comune, l'unica che abbiamo per abitare; tematiche riprese nell'ultima enciclica di Papa Francesco.
Il termine Cura esprime un concetto che porta ad una relazione amorosa e non dominatrice con la natura e si oppone al paradigma della nostra modernità che è la dominazione dell'Altro, dei popoli e della natura stessa.
Cura è parlare di una scienza fatta con coscienza che non privilegia il mercato e gli interessi economici, ma che difende e protegge la vita, per la vita.
 Casa Comune è la nostra Terra ed è compito di ognuno, nessuno escluso, essere responsabile per un destino che accomuna l'intera umanità.
Siamo bravi a creare "macchine" di morte, a distruggere e a far violenza, mentre abbiamo dimenticato come si costruiscono quelle che creano amore e che fanno sbocciare Speranza.
La società di oggi è la solitudine dell'Uno, dove ognuno difende il proprio palazzo, il proprio orto, ma in una solitudine immensa che genera tristezza, depressione, egoismo, vuoto.
Dobbiamo riappropriarci di quell' UBUNTU, di quel "io sono perché noi siamo", di quel senso della Comunità che aiuta a vivere la Casa Comune e che porta a riconoscere il valore di una responsabilità collettiva che valorizza la relazione con l'Altro, per l'Altro, con la natura e ogni essere vivente.
Dove impera il potere non c'è amore, ne misericordia.

...respirare insieme....









lunedì 2 novembre 2015

...il nostro banchetto, per concludere questo mese di ottobre missionario, qui in Nova Contagem.


...e visto che è una serata di festa....si lascia il banchetto per fare disegni sui visi ai bimbi




mercoledì 28 ottobre 2015

Il 12 ottobre è festa dei bambini in Brasile, festa da Criança, dove si festeggia l'età dei sogni, della fantasia, della tenerezza, della bellezza di essere bimbi.
Ma è una festa che deve essere di tutti i bambini, anche di quelli che aspettano di entrare in prigione per salutare il loro papà, un papà particolare che vive dentro una piccola cella, con un pigiama rosso che non toglie mai e che piange ogni volta che lo si abbraccia.
Per questi bimbi e le loro mamme il nostro piccolo gruppo della pastorale carceraria organizza qualcosa di speciale, un momento di festa e di giochi per alleviare il peso delle lunghe ed estenuanti ore di attesa per entrare in carcere.
I bambini vedono questo luogo come una grande fortezza fatta di ferro, fatta di persone con armi e cani al guinzaglio, di facce tristi e ansiose, di divieti e silenzi, di grandi lucchetti attaccati alla porta.
 I momenti di gioco e di fantasia, che organizziamo nel patio della portineria, servono per entrare attrezzati dentro questa fortezza, attrezzati di sorrisi e facce super colorate da donare a chi si aspetta di poter riabbracciare solamente un giorno della settimana o un giorno al mese o un giorno.....
















 




lunedì 26 ottobre 2015

Sto scrivendo poco in questi giorni...problemi con internet...problemi con i pensieri...problemi di tempo...problemi che ti bloccano sulla pagina bianca e che ti fanno dire "domani scriverò qualcosa", mentre schiacci il tasto "off " del computer con gli occhi pieni di sonno.
Sta iniziando a fare caldo, molto caldo, siamo sui 35/37 gradi, siamo in piena estate in questa parte di emisfero. Il sudore sta diventando un secondo vestito che ricopre la pelle, ma non mi lamento perché ho sempre adorato il caldo e quegli infradito ai miei piedi che calzerei tutta la vita.....piedi liberi...piedi nudi!
Gli infradito li uso sempre, non faccio distinzione di luoghi formali o informali, porto me stessa, così come sono, in ogni dove, preoccupandomi di più su quello che devo dire o pensare e sul mio portoghese stropicciato....ma me la cavo sempre!
Siamo anche alla fine dell'anno e qui da noi ha tutto un suo significato, qui significa regolamento di conti e chiusure di affari sporchi, dominio della piazza e nuovi capi.
La situazione non è cambiata, anzi è peggiorata, conviviamo con suoni di spari e vere e proprie guerre tra gang. Alcune settimane fa, in una riunione alla Casa Comboniana, abbiamo ascoltato l'uso di mitragliatori in un bairro vicino, con lo scorrere veloce di moto in fuga. Non è l'uso di una arma o di un colpo di pistola, è molto di più, sono armi, sono tiri che cercano corpi e che scoppiano nell'aria, ferendo e uccidendo. Ci siamo spaventati tutti quel giorno, cercando un rifugio dai quei suoni sempre più vivi nelle nostre orecchie e così vicini a noi. La sensazione di panico e sconcerto ti rimane addosso, con la paura di ricevere un proiettile vagante mentre torni a casa.
Una signora che partecipa nel gruppo Testemunhas de Esperança ha perso il nipote in queste vendette di fine anno, lui aveva solo 22 anni. Nel bairro dove do aula di italiano, è una continua mattanza.
La ragazza che insegna inglese mi ha raccontato che si sono dovuti sdraiare per terra tanto era forte e vicino il rumore degli spari.
 Stanno morendo molti giovani, chi viene ammazzato, viene poi vendicato, per poi un'altro vendicare di nuovo e così di continuo......A volte devo disdire la lezione per il coprifuoco, anche se non ci sono più orari, si uccide di giorno, di pomeriggio, di notte e non più con il volto coperto.
La polizia interviene sempre dopo, preferisce che i trafficanti si ammazzino a vicenda, conosce bene le regole e gli interessi che ci sono dietro.
E' una quotidianità difficile, fatta di silenzi, di complicità, di paure, di regole, di abitudini intrecciate in una realtà complicata e dura da cambiare. Tutti sono coinvolti, direttamente o indirettamente, tutti sanno, tutti conoscono, tutti tacciono e accettano.


                ....cerchiamo di cambiarla questa realtà, cerchiamo di seminare qualcosa di buono....




Il mercoledì pomeriggio sto cercando di portare avanti, assieme ad un'altra volontaria del bairro, Lucilene, l'aula di pittura su panno nei locali di Espaço Esperança. L'anno scorso era di venerdì pomeriggio con un'altra insegnante, che poi ha rinunciato. Ma non abbiamo rinunciato noi, io.
Sono andata alla ricerca di chi poteva dare una mano per tenere aperto un piccolo spazio per i ragazzi/e del bairro, uno spazio che può essere una piccola speranza, così come si chiama il locale, in un luogo di alta vulnerabilità e violenza.
Quando abbiamo ripreso il corso di pittura c'erano solo due ragazze, oggi qualcuno in più, ma non ci importano i grandi numeri, ci importano le persone, chi partecipa e siede con noi.
Andiamo avanti!




sabato 10 ottobre 2015

S. Daniele Comboni


Laici missionari Comboniani e padri Comboniani

Perché il tuo esempio vale più di mille parole.
10 ottobre S. Daniele Comboni, insieme come Famiglia Comboniana per dire grazie ad un uomo che ci ha insegnato ad amare la missione e come fare missione.
Batte nel petto quell'Amore che ci porta ad uscire dal nostro egoismo e andare nelle periferie del mondo per essere semplice testimonianza, per essere con gli Altri e in mezzo agli Altri, per condividere, partecipare, incontrare, lottare, amare.
Innamorati della Vita, innamorati del Comboni, innamorati di Dio, innamorati di questa Umanità intera. E' questo Amore che guida i nostri passi e le nostre scelte, è questo Amore che ci fa camminare in questo mondo con coraggio, determinazione, tenacia, passione.
E' questo Amore che asciuga le nostre ferite, che ci rivoluziona dall'interno, che ci fa affrontare sfide e nuovi cammini.
Comboni nel cuore, Comboni nei nostri giorni, Comboni nelle nostre scelte.
Grazie Daniele!


.....l'amore porta amore.....



giovedì 1 ottobre 2015


Stiamo iniziando a leggere nelle nostre riunioni mensili di equipe della pastorale carceraria, questo manuale che spiega diritti e doveri dei carcerati e dei loro familiari. Perché conoscere è importante, permette di difendersi contro informazioni che non sono chiare o false, permette di tutelare situazioni a rischio, permette che la giustizia sia dalla tua parte, permette di passare informazioni a chi non le conosce.
Abbiamo deciso di segnalare i casi di attese prolungate per chi ha guadagnato il regime aperto o semi aperto e invece continua a stare nel regime chiuso da mesi e mesi, addirittura un anno.
Siamo contro questo incarceramento di massa che non rispetta i diritti umani, che butta le chiavi della cella dopo che il detenuto è entrato, che costringe a perpetuare violenza tra gli stessi detenuti.
Varie volte ascolto e ascoltiamo carcerati che pur avendo raggiunto il beneficio del regime aperto (possibilità di lavorare fuori) continuano a rimanere nella stessa condizione. E' palpabile la loro rabbia, è palpabile l'ansia di chi aspetta che si aprano le porte per iniziare qualcosa di nuovo, di veramente nuovo. E' frustrante tutto ciò, quello che possiamo fare è segnalare situazioni di ingiustizia che non permettono la nostra indifferenza e fare un lavoro di rete, se è possibile, con la pastorale carceraria. Il tutto con una certa cautela, perché il mondo delle carceri è complicato, duro, corrotto, pieno di violenza e sofferenza, ma continuare a starci è l'unico modo per cambiarlo da dentro.
Ci sono persone che pensano che lavorare per i diritti umani sia un lavoro che si schiera dalla parte dei banditi (così sono chiamati i detenuti), "le amiche dei banditi" ci chiamano.
Sì, sono amica dei "banditi"!
Considero quei "banditi" prima di tutto essere umani con diritti e doveri, diritti che nessuno può cancellare o togliere, per nessuno.
Così come credo che quei "banditi" abbiano il diritto di scontare una pena con dignità e giustizia e avere la possibilità di riconoscere il proprio errore e ricostruire la propria vita, per cercare di essere migliore, per cercare di costruire qualcosa di migliore.
Credo nel Perdono e nella Riconciliazione.
Credo che ogni uomo sia maggiore del suo sbaglio.



Oggi ho fatto visita al Ceresp femminile di Belo Horizonte, la situazione sta peggiorando.
Troppe sono le celle sovraffollate, con condizioni igieniche precarie.
Le detenute per protesta stanno otturando i vasi sanitari, ci buttano dentro di tutto, questo per ottenere cambi di cella e attenzioni. Gli agenti stanno proibendo le due ore d'aria nel patio, per motivi di sicurezza e spazio. La situazione sta diventando insostenibile.
Io e le mie compagne della pastorale carceraria del Ceresp, dopo la visita, abbiamo parlato con l'assistenza sociale della struttura per capire perché veniva negata l'ora d'aria e tentare di fare il punto della situazione, ma come spesso accade la risposta che sentiamo dire è sempre quella: "problemi di sicurezza....è momentanea la situazione...stiamo aspettando nuove scarcerazioni".....
E' momentaneo...è sempre tutto momentaneo....momenti.....attese....ma la vita è qualcosa di più di  un'attesa e di certo non deve essere vissuta in quelle condizioni.
Mi rendo conto di come è importante entrare in queste prigioni e parlare con i detenuti/e, c'è una vulnerabilità e un sofferenza che non deve essere abbandonata.







martedì 29 settembre 2015

Tortura e Encarceramento em Massa no Brasil 2015


Caramante

Spesso la tortura è strumento inerente al sistema carcerario.
Le precarie condizioni di vita dei detenuti (di alcuni detenuti in alcune strutture penitenziarie) con problemi di sovraffollamento, scarse condizioni igieniche, uso della violenza, sono vere e proprie torture che violano l'integrità e la dignità umana. La maggior parte dei detenuti appartiene alle fasce più povere e vulnerabili della popolazione, provenienti da favelas o quartieri periferici, luoghi di marginalizzazione sociale ed esistenziale, periferie del mondo e della storia.
L'incarceramento in massa in Brasile sta popolando le prigioni di persone e sottolineo la parola persone, perché non è così che un detenuto viene considerato in queste strutture, che rischiano di passare anni senza un regolare processo o in attesa di un processo, con avvocati pubblici che dopo avere preso i soldi dalle famiglie abbandonano la causa e diventano inesistenti, si defilano.
Ho conosciuto famiglie che cercano in tutti i modi di racimolare soldi per pagare avvocati che possano difendere un loro familiare incarcerato e sono famiglie non certo benestanti, famiglie che non possono permettersi costi elevati... famiglie che non possono.
Chi può permettersi una buona difesa può anche permettersi di accorciare i tempi e benefici, chi non può (la maggioranza) vive di attese che diventano giorni, mesi, anni.
E in questi anni convivono con una rieducazione e socializzazione fantasma, in una struttura che molte volte è porta per l'inferno, dormendo per terra, dividendo pezzetti di area malsana, bagni senza vasi sanitari, spazi sempre più ristrette e violenze (fisiche e psicologiche).
Le violenze sono sia da parte del sistema carcerario sia da parte degli stessi detenuti contro altri detenuti, perché anche in carcere i regolamenti di conti non finiscono.
Umanizzare le carceri è possibile, è un dovere da parte dello Stato.
 Se si vuole puntare sulla rieducazione, recuperazione bisogna migliorare le condizioni di vita dei carcerati, rispettando quei diritti fondamentali che non si perdono dietro a una grata .
Al Ceresp femminile dove vado i casi di sovraffollamento sono in aumento, nel mio post precedente ho scritto come in alcune celle le ragazze camminano sopra materassi, rischiando di schiacciare chi ci dorme sopra, così come nei padiglioni dell 'Anexo alla NH, celle di 7/8 persone ne contengono 16/18.
E gli spazi sono piccoli e mal odoranti, bui e sporchi.
Le celle di punizione sono senza luce e acqua e solo un materasso per dormire per terra e a volte neanche quello.
La Pastorale Carceraria Nazionale ha realizzato un video che denuncia una carcerazione in massa basata sulla tortura come politica di stato.
E' in portoghese, ma le immagini parlano chiaro.





venerdì 25 settembre 2015

Che sapore meraviglioso che ha la libertà!
Che gusto inesplicabile, ma di gioia inconfondibile, pura e leggera!
Libertà, non c'è cosa più bella che riassaporarla dopo che la si era persa!
Riassaporare il gusto di sentirsi liberi, anche se solo per un frammento.
Camminare a lunga distanza, uscendo da perimetri delimitati da sbarre, muri, porte di ferro.
Incontrare i visi della gente, ascoltare i loro discorsi, ascoltare dialoghi che non appartengono più alla televisione.
Toccare spazi, luoghi, oggetti, persone, toccare tutto quello che si era abbandonato tempo addietro.
Guardare il cielo non più da un buco della serratura e riscoprire, così, la sua infinita bellezza.

Queste sono le sensazioni di chi sta iniziando il regime aperto, dopo che per anni è stato in un regime chiuso. Il regime aperto ti da la possibilità di svolgere un lavoro fuori dalla prigione, per poi la sera ritornare in carcere.
Entrando e uscendo da strutture carcerarie, come la NH, come il Ceresp, come anche l'APAC sto provando ad immaginare, "sentire", capire che cosa veramente significa ritornare a gustare quello che si era perso. Ritornare a riabbracciare la Vita.
E lo vivo con chi in questi giorni lo sta facendo di persona, con chi ha raggiunto la tappa del regime aperto. Come questa mattina.
 Ero in Itauna, per il mio incontro quindicinale in APAC femminile.
Mentre ero alla fermata dell'autobus vedo dal lato opposto della strada due braccia sventolarsi nell'aria con cenni di saluti, io ancora addormentata (prendo un autobus alle 4.20 del mattino per cercare di essere alle 8 in APAC....le distanze "infinite" di chi si muove con gli autobus!) non riuscivo a capire per chi erano quelle attenzioni, se non, man mano che la persona si avvicinava, riconoscerla nel suo sorriso. Meraviglia! Era M. detenuta dell' APAC femminile che andava a lavorare. Finalmente ha guadagnato la sua libertà provvisoria. M. ha sempre partecipato ai miei/nostri incontri di valorizzazione umana e sempre scambiavamo delle gran chiacchere. Bella sorpresa!
L'ho conosciuta che era nel regime chiuso, poi l'ho ritrovata nel regime semi aperto, ora è passata in quello aperto, ora può uscire! Sono tappe, che in un certo senso, vivi con alcune/i detenuti, tappe dove impari a conoscere emozioni legate a momenti particolari della Vita e a ri-gustare il senso di questa Vita. Non vi dico che gioia c'era nel suo sorriso, pura gioia.
E così ci sono momenti che prendi un pò di questa gioia, pensi a quella libertà, al suo sapore spettacolare e a come cose che diamo per scontate sono in realtà di un valore inestimabile.
Pura gioia!

...penso a V., ai suoi 20 anni passati in prigione nel regime chiuso nella NH e ora in quello aperto, ma in un'altra prigione, in un'altra città.
Non ho fatto in tempo a salutarlo, è stata una sorpresa sapere che non c'era più.
Ma provo a immaginare quello che sta provando, quel guardare il cielo non più dal buco di una serratura.


ricomincio.....



Il mio corso di italiano al Cecom sta procedendo, per ora sta resistendo il gruppo formato da tredici persone, dai 14 ai 22 anni. Sta partecipando anche una famiglia, padre, madre e bimba di 11 anni.
Chiaro non è un corso professionale, (io professora? figurati, certo che no!), ma mi piace come già avevo scritto in precedenza, questo desiderio di imparare, di conoscere, di "crescere", di avere curiosità, obiettivi. Quello che cerco di fare nei nostri incontri è condividere culture diverse, quella del mio paese e quella del Minas Gerais. Scambiare informazioni, modi di vedere le cose, attraverso la cultura (immagini, musica, parole, modi di fare). Loro mi aiutano con il portoghese, io aiuto loro con l'italiano. Mi diverto vedere le loro espressioni quando inizio a parlare rapido in italiano e loro si divertono a sentire il mio portoghese e l'accento che viene fuori. Quando ci si diverte è bello anche stare! Problema è quando c'è da studiare le regole grammaticale!!!
Lì ci si diverte poco!
Andiamo avanti....