domenica 21 settembre 2014

Tutta colpa della mucca pazza



Ieri pomeriggio mi sono unita al gruppo di persone di Contagem che hanno aderito alla campagna di donazione del sangue: diventa anche tu un donatore!...e così è stato, ho risposta all'appello.
In realtà c'è bisogno di sangue e ci sono casi urgenti che non possono aspettare, il mio tipo sanguigno, poi, è quello universale e lo possono ricevere tutti.
Così sono salita sull'autobus dei donatori e in un clima di fraterna allegria siamo arrivati al centro ospedaliero di Belo Horizonte, obiettivo: donare sangue.
Dopo vari passaggi, spiegazioni, presa dei dati, colloquio medico, ecco arrivare la mia triste scoperta....."mi dispiace, ma lei proviene da un paese europeo dove c'è stata una malattia che si chiama vaca louca, che qui in Brasile non esiste, quindi non può donare il sangue". "La vaca che??" ...mica avevo capito che si trattava della mucca pazza! La sindrome della mucca pazza, esistita in Europa e non in Brasile e anche se non l'hai mai avuta, potresti averla in incubazione nel sangue e non saperlo. Nossa!!! Io gliel'ho detto alla dottoressa che in Italia ero vegetariana...ero...qui mi è un pò difficile con i profumini di churrasco che girano, ma niente da fare, le regole sono regole e giustamente è una questione di prevenzione e poi diciamolo non ero una vegetariana integralista, qualche pezzettino di carne mi è passato sotto i denti....e se era della mucca pazza?!?!...mah!
In ogni caso bella e importante l'iniziativa del donare sangue, c'è bisogno, è utile, è vitale.
Ho partecipato solo con il pensiero...tutta colpa della mucca pazza!

(la foto me l'ha mandata Sabina, promotrice dell'iniziativa, ma è storta...pazienza)


Sono contenta di aver sentito oggi dopo quasi un anno che ci siamo conosciuti (dicembre 2013) Valentina e Marco, giovane coppia italiana in missione ad Açailandia, nordest del Brasile.
Bella e significativa l'esperienza che stanno vivendo in missione (si possono leggere le loro newsletter sul sito dei laici comboniani: www.laicicomboniani.it), bella la notizia che mi hanno comunicato....la loro famiglia crescerà!! Parabens!!!!!
Quando ho conosciuto Valentina e Marco ero appena, appena, arrivata in Brasile, praticamente era il mio primo giorno. Avevo ancora il fuso orario scombussolato, una stanchezza non ancora smaltita, una lenta realizzazione del posto in cui mi trovavo.... e una valigia persa durante il viaggio (poi ritrovata).
In quelle condizioni di certo non ero un fiorellino e il tempo vissuto insieme è stato pochissimo, ma ora che il mio fuso orario si è ormai da tempo stabilizzato e che la mia valigia è sopra ad un armadio, tutta impolverata, eccoci in contatto, eccoci nel condividere stati d'animo, esperienze, percorsi. Percorsi fatti di sfide, di impegno, di domande, di incertezze, di coraggio, di desiderio, di animo, di lotte....percorsi fatti di Vita, in un esperienza che ci porta a camminare con l'Altro, a condividere, a donarsi, ad incontrare. La missione ti cambia, se ti lasci cambiare, mette allo scoperto la tua precarietà e non solo quella del mondo, la tua bellezza, come la tua fragilità.
I momenti di condivisione, con chi sta facendo la tua stessa esperienza, ti permettono di vedere questi cambiamenti e come questi cambiamenti ti stanno trasformando o ti stanno toccando, sempre è solo se ti farai trasformare, in una scelta che è coraggio, che è scoperta, che è dolore, che è Amore.



venerdì 19 settembre 2014

Oggi è stata la mia prima visita al centro di detenzione temporale femminile in Belo Horizonte.
Oltre alla Nelson Hungria e Apac che porto avanti, nei miei piani c'è anche quello di conoscere altre situazioni dove la Pastoral Carceraria è inserita e se è possibile lavorare come volontaria.
Finalmente il mio cadastro è stato fatto, il mio nome è stato inserito nella lista delle persone visitanti e oggi, finalmente, dopo alcuni intoppi sono potuta entrare. Eravamo in 5, ma ci è stato detto che solo tre persone potevano far visita e visto che per me era la prima volta, le altre volontarie mi hanno ceduto il posto. Due, sfortunatamente, hanno dovuto rinunciare.
Prima di entrare nel corridoio dove si trovano le celle, siamo state condotte in una piccola stanza, con noi un agente penitenziario donna che ha chiuso la porta e ci ha chiesto di spogliarci.
Non me l'aspettavo!
Abituata alla Nelson Hungria (NH) dove i controlli vengono fatti dentro una macchina a raggi x (....raggi x! mi chiedo quanto siano dannosi per la salute....) non avevo preso in considerazione l'idea di un controllo fisico, rivista si chiama qua. Con un certo imbarazzo da parte mia e una certa naturalezza da parte delle altre due compagne, eseguiamo ciò che ci viene chiesto, il tutto, graças a Deus, senza troppa umiliazione. E' la regola, è la prassi, ma con una distinzione, per noi non è così severa e rigida, come per le famiglie. Per i familiari è veramente qualcosa di umiliante, rimani nudo/a e controllato/a da tutte le parti anche con l'ausilio di specchi.
Pensate ad una madre di una certa età che va a trovare il figlio o la figlia in carcere e deve affrontare tutto questo, provate a immaginare mettendovi al suo posto...nudi in una stanza davanti ad uno sconosciuto/a  che vi chiede di abbassarvi ed alzarvi secondo comandi, che vi tocca, che vi guarda, che vi ispeziona. Ma questa è la regola, che tutti devono seguire, anche per chi entra senza nascondere nulla, per chi è innocente, per chi porta solo un'abbraccio e un saluto, per chi deve pagare errori fatti da altri (mi riferisco a quelle persone che cercano di portare droga, cellulari, altro dentro la prigione).
Questo centro di detenzione temporale è un luogo che funziona un pò come l'anexo della NH.
Qui le detenute rimangono per un breve periodo in attesa di essere spostate nella prigione vera e propria o rilasciate, se il crimine è minore. Il posto mi ha lasciato una certa perplessità, indignazione, tristezza. La maggior parte delle donne sono ragazze giovani, dai 18 anni ai 30/35 anni. Nelle celle ci sono dalle 24/25 persone. Dormono tutte per terra, su materassi ammassati uno accanto all'altro, non c'è spazio per camminare, si passa da materasso in materasso. Non ci sono mobili, non c'è niente, solo un'altro spazio usato come bagno. Sono rimasta impressionata. Possono uscire per l'ora d'aria tre volte a settimana...lunedì, mercoledì, venerdì. L'odore che si respira è forte, di chiuso, di urina, di stantio. Come sempre si parla attraverso le sbarre, si allungano mani e braccia per salutare. Ci si allunga...verso l'altro.
Ho destato un pò di curiosità per il mio accento straniero, ma è quello che mi permette di aprire la porta in una possibile relazione, quella stranezza che sveglia la curiosità nell'altro e che porta a domandarsi "cosa ci fa una straniera in questo posto?"....e così nel mio parlare strano mi presento e ci si presenta, si inizia a conoscersi.
Sono rimasta colpita dallo sguardo triste di una ragazza di 18 anni, seduta per terra davanti alla grata di ferro. Mi sono accovacciata davanti a lei e la stessa cosa ha fatto la persona con cui stavo parlando, accanto alla ragazza. Tutte e tre sedute per terra, divise solo da una grata di ferro, poi tu ascolti. Ascolti che la tristezza nasce dalla saudade della famiglia, dei figli, della solitudine che si vive in quel posto. Alcune di loro non sanno come sta procedendo il loro percorso giuridico, non sanno ancora per quanto tempo quella saudade si allargherà e farà ancora male e che continuerà a farti stare seduta davanti a quelle sbarre fredde e dure.
Difficili questi luoghi, pesanti, duri, quando esci ti senti pesante anche tu, una stanchezza che parte dal cuore. Nella testa ti rimangono le immagini di quello che hai visto, le storie che hai ascoltato, gli sguardi che hai incontrato, esci completamente piena, piena di tante emozioni.
Tante cose da elaborare, discernere, metabolizzare...c'è tutta una palestra per il cuore da fare, perché bisogna attrezzarlo bene prima di entrare in questi posti e allo stesso tempi questi posti ti aiutano a farlo.



O amor resgata





giovedì 18 settembre 2014


Oggi sono riuscita a vedere un tucano, un tucano è praticamente questo:

                                           Bello!!!

In realtà non è la prima volta che lo vedo, più volte mi è capitato, ma oggi era talmente vicino che ho potuto ammirare la sua bellezza, i suoi colori e il suo tipico becco che lo contraddistingue. 
Una meraviglia. Piccole poesie che colorano i giorni e la quotidianità della vita, bellezze del Creato.







domenica 14 settembre 2014

Una sostanziale differenza

Una sostanziale differenza.
La differenza tra il carcere comune (dove andiamo noi gruppo pastoral carceraria alla NH) e carcere alternativo APAC (associazione di protezione e assistenza ai condannati) dove sto iniziando come volontaria. Due realtà completamente differenti, due metodologie agli antipodi.
Uno educa e recupera, l'altro punisce e rigenera violenza. In uno c'è il rispetto e la dignità della persona in un lavoro di valorizzazione umana, nell'altro una condizione degradante e umiliante.
In APAC il detenuto viene chiamato recuperando, nel carcere comune carcerato, preso.
L'APAC è la faccia umana della prigione, dove si crede che nessuno possa essere irrecuperabile.
In APAC non esiste polizia, il recuperando aiuta e educa il recuperando, in un clima di rigore e disciplina, senza l'ausilio di corpi speciali armati, tipico del carcere comune.
Nelle prigione si muore, in APAC si rinasce, perchè dall'amore nessuno fugge.
 Una sostanziale differenza che ho la possibilità di sperimentare e conoscere in questa mia esperienza brasiliana, in questo camminare a piedi nudi su strade, percorsi, sentieri di vita e di storia.

Nel video qui in basso c'è la presentazione dell'APAC maschile di Itauna, che conosco e ho frequentato facendo il corso per volontari, ora sto iniziando nell'APAC femminile, sempre di Itauna.
E' un ambiente più piccolo rispetto a quello maschile, ma il clima che si respira è lo stesso.
Giovedì scorso ho partecipato ad un momento di valorizzazione umana con una volontaria anziana, che da tempo frequenta il posto. Nessuna grata di ferro tra me e le recuperande, nessun distanza da mantenere, nessuna cella chiusa a chiave, nessuna manetta ai polsi e alle caviglie, nessun poliziotto. Ho pranzato con loro, mi sono seduta a chiaccherare, ho visitato le loro stanze e visto i lavori artigianali che fanno, il tutto in un clima di serenità, non sembra proprio di stare in prigione.
 Eppure è un carcere, eppure le persone stanno scontando una pena, strano vero? No, è la realtà, una realtà che funzione e che merita di essere conosciuta e realizzata.
Il Brasile è il terzo paese, dopo Stati Uniti e Cina, per popolazione carceraria.
 In questi video si può vedere la differenza....una sostanziale differenza.

Mi scuso se gli ultimi due filmati sono in lingua portoghese, ma con un pò di attenzione si comprende.






                                                              Il carcere comune


...e ancora APAC, 40 anni di storia che hanno cambiato il sistema carcerario


Valdeci Antonio Ferreira che parla in questi video è laico missionario Comboniano brasiliano, è grazie a lui che il metodo APAC è nato nel Minas Gerais.







giovedì 11 settembre 2014

Porte che si aprono, lucchetti che si chiudono, attese... e in questi frammenti di spazio mentre si aspetta di entrare, le orecchie ascoltano, ascoltano voci che gridano, che si ammassano l'una sopra l'altra, rumori di pugni che battono contro porte di ferro... e gli occhi vedono, vedono manette ai polsi, braccia dietro la schiena, teste basse, divise armate, divise di corpi speciali, sguardi severi.
 Oggi visita nel padiglione che si chiama anexo, dove la maggior parte dei detenuti sono giovani in attesa di essere processati o in attesa della sentenza o di vari spostamenti.
Nell'anexo ci sono piccole celle, con un numero di persone superiore alla disponibilità di spazio, anziché 8, 13 o 14 persone, quelli in più dormono per terra. Il bagno non esiste, solo un vaso dove espletare i propri bisogni o semplicemente una buca e solo una tenda como divisorio, per creare una privacy che non c'è. Sul soffitto scorrono fili elettrici per la televisione o per la radio, attaccati da pezzi di nastro adesivo uniti a lampadine solitarie che sembrano oscillare nel vuoto, appese per miracolo. Tutto da un senso di claustrofobia, per quanto è piccolo l'ambiente e il numero di persone che lo compongono. Non possiamo avvicinarci molto alle celle, oggi ci è stato concesso di parlare dal retro, dove si affacciano le finestre, dove ci sono i bidoni della spazzatura e  buche fatte da topi.
 Difficile stare lì, per l'odore nauseante che proviene da quei bidoni sporchi e pieni di rifiuti aperti.
Ma noi ci stiamo (equipe pastoral carceraria) ci stiamo perché sappiamo che il momento che viviamo nella relazione con i detenuti, vale più di tutto, dell'odore, del posto, delle condizioni.
Oggi per noi è stata la prima volta visitare dal retro, di solito nell'anexo ci concedevano la visita a quelli che erano nel patio per l'ora d'aria (banho do sol), ma in una situazione "assurda" stando in alto e loro in basso, in una comunicazione difficile, urlata, tanto la distanza e la scomodità. Stiamo cercando di "impuntarci" per far rispettare le nostre visite e le condizioni che ci permettono di avvicinarci ai detenuti nel migliore modo possibile, rispettando sempre le regole di sicurezze dettate dagli agenti.  Tutto in un clima di collaborazione e dialogo, altrimenti ne va del nostro incontro e del lavoro che la pastorale sta cercando di portare avanti. Oggi il nostro incontro è stato lì, in un luogo dove, finalmente, si riusciva a parlare e nel parlare c'è stato un momento di commozione da parte di un detenuto, un ragazzo giovane di 25 anni, che ha  ricordato i suoi tre figli, la più grande di dodici anni.
 I suoi occhi sono diventati lucidi lucidi, con una pausa di silenzio che parlava più delle parole.
Non li vede mai.
 L'ho invitato a scrivere delle lettere alla figlia, non in importa se ora non le può ricevere, che continui a scriverle, esprimendole i suoi sentimenti per  poi un giorno consegnarle di persone e dirle: "il tuo papà non ti ha mai dimenticato, ti ha sempre cercato".
 A volte suggerisco di provare a scrivere e a tenere un diario, parlando di sé e di quello che si sta passando. Molte cose rimangono dentro, nell'anima e si depositano, senza riuscire a districare la massa ingarbugliata di emozioni e pensieri. Ripartire da un luogo dove il tempo pare immobile, ripartire prendendo coscienza delle proprie emozioni, del proprio passato, delle proprie azioni e ricostruire, ricostruire ciò che si è perso, ciò che si è spezzato, per ricominciare nel modo migliore. Perdonare e perdonarsi. Amare e amarsi.
In alcune converse si prende anche questo filone, che lascia spazio a possibili percorsi di riflessione che si condividono insieme. Non con tutti è possibile e non con tutti si riesce a parlare e non tutti sono interessati, ma con chi accade si vivono momenti forti e intensi, dove la vita è al centro della discussione e dove anche Dio fa parte di questo centro.
Poi nelle converse ci sono sempre le continue richieste di chi chiede di telefonare alla famiglia, di chi chiede di sapere la propria situazione giuridica, processuale.....di richieste di approssimazioni familiare perché la famiglia vive lontano e tante altre cose. Pesano a volte tutte queste richieste, scritte ordinatamente sul quaderno, un peso che nasce dalla "paura" di abbandonarle sopra un foglio bianco e non poterle attuare.



                               ...di giorno, a volte, si vede la luna....ancora prima che diventi scuro



mercoledì 3 settembre 2014

Grande evento mondano per me ieri sera, cosa unica e rara! Vi ricordate il post del 22 maggio....quello sul corso della mediazione di conflitto a cui ho partecipato...ebbene ieri sera c'è stata la consegna dei  "diplomi"....l'attestato di fine corso!! Una cosa in pompa magna per festeggiare e valorizzare la fine di un corso che ha visto coinvolti persone semplici di vari quartieri, tra cui io! Ora siamo mediatori di conflitti...UAI (tipica espressione del Minas)...che onore! In realtà manca la parte pratica, la teoria è stata interessante, ma ci si è fermati lì. In ogni caso per me è stato un bel riconoscimento, un situazione particolare e decisamente fuori dall'ordinario.
Ma....veramente ora siamo mediatori???......


                                          Ecco dove si è svolto l'incontro...chic!



                                          noi corsisti stiamo scendendo per prendere posto                                            

                                          .....applausi.....

                                           formatori ed equipe del corso

                                         Ecco che vado a prendere il mio "diploma"....mi si riconosce?


                                   Mediazione Comunitaria come metodo di risoluzione dei conflitti

                                          noi corsisti di Contagem più alcuni formatori

                            per l'occasione ho messo le scarpe belle!!!!.....dopo torno sempre a piedi nudi

                                          momento musicale....funky....ci stà!

                                    
 Attraverso la mediazione si cerca un'alternativa creativa, cooperativa e pacifica per incontrare una migliore soluzione per gestire e affrontare un conflitto.
Nei nostri quartieri formati da Comunità di base i conflitti sono all'ordine del giorno, per questo la proposta di una tecnica che aiuti a creare una cultura di pace, dialogo promossa dalla segreteria di Stato del Minas Gerais, per evitare che i conflitti a livello interpersonale e comunitario, si trasformino in situazioni di vera e propria violenza....e la violenza in alcuni quartieri è già pane quotidiano.
Congratulazioni a noi corsisti e in quanti credono nella costruzione di ponti che servono per raggiungere e incontrare l'Altro e in fondo anche noi stessi: Parabens!!!

lunedì 1 settembre 2014

Settembre


Settembre nuovo mese, nuovo inizio.....
Ho sempre considerato settembre come un mese dove si riparte, si ricomincia, si inizia da capo, una specie di inizio anno. Mi ricordo che un'amica di scuola mi diceva che l'anno nuovo non dovrebbe iniziare a gennaio, ma a settembre.....già! Ho sempre condiviso questa sua idea. Settembre il mese in cui si ricomincia a tornare a scuola, a tornare a lavorare, a tornare a fare qualcosa. La città riprende vita, i cartelli  "chiuso per ferie" tornano in soffitta, tornano le persone, tutto ricomincia.
E ricomincio anch'io qua, dopo la pausa in Rondonia e S. Paulo. Ricomincio con gli impegni quotidiani, ricomincio con i buoni propositi, ricomincio a segnare in agenda anche le novità. Sì, perché la prossima settimana inizierò a fare visita, ogni 15 giorni, al carcere femminile di Belo Horizonte. Mantengo sempre, fedelissima, la visita alla Nelson Hungria del martedì (contenta di riprendere), in aggiunta il carcere femminile in BH e in alternanza con questo, il carcere femminile dell'APAC (associazione di protezione e assistenza ai condannati). Questi sono i piani, i buoni propositi di questo ricominciare e spero che rimangano tali, perché a volta capita che si segna una cosa e se ne fa un'altra o che le date scivolino in avanti senza sapere quanto avanti. E' quell'imprevisto che in missione devi sempre prendere in considerazione, quello scivolare nei giorni  nelle date, nelle cose, a volte contro la tua volontà. Per ora tutto è segnato, gli agganci, le telefonate, i documenti per entrare in prigione....tutto fatto.
Il carcere femminile è una bella sfida, è quello più marginalizzato, perché ci sono pochi volontari, tutti preferisco andare in quello maschile, questo anche in APAC. Le detenute, poi, ricevono poche visite e a volte nessuna. Sono più le donne, le mogli, le madri, le compagne che vanno a trovare i mariti, figli, fidanzati in carcere, dall'altra parte quasi nessun compagno, marito, fidanzato, padre va a trovare una moglie, una figlia, una fidanzata in carcere....le donne sono più sole. I figli, poi, non si possono tenere chi entra incinta partorisce e tiene il bimbo fino ad un anno di età, poi le viene portato via, triste per una mamma. Nel carcere maschile sei ben "accettata" dai detenuti perché sei di sesso femminile, in quello femminile, invece, non è così scontato ed entrare in relazione, a volte, è più difficile. Ecco perché è una bella sfida.
Giovedì mattina sono andata in APAC femminile per parlare su un possibile "lavoro" come volontaria, ho visitato il regime semi aperto e il regime chiuso, poi sono rimasta con le detenute del regime chiuso e ho pranzato con loro. Devo dire che è un'ambientino tosto, perché toste sono le persone.
" Mentre ero in carcere in S. Paulo comandavo quasi tutte le boca de fumo (luogo dove si vende la droga)  della città, semplicemente parlando al cellulare" . Queste le parole di J.  con i suoi tatuaggi in evidenza, la faccia di un pagliaccio che ride sul braccio, simbolo di chi ammazza la polizia, una pistola disegnata sul piede, i nomi di tutta la sua famiglia sull'altro braccio, il disegno del suo clan sul collo e altri in altre parti del corpo. I tatuaggi raccontano la sua vita.
"Questa è la mia terza prigione che faccio. Quando uscivo tornavo nel giro, mi riprendevano, ci ritornavo e ora sono di nuovo qua." Queste, invece, le parole di R., anche lei con suoi tatuaggi ben in evidenza e me ne mostra uno fatto a 9 anni.
Piccole condivisioni uscite nelle chiacchere fatte insieme aspettando il pranzo. Un tempo rimanevo basita sentendo certe cose, oggi fanno parte della quotidianità, della realtà che mi circonda e nella quale vivo, storie che si accomunano, che si rimbalzano l'un con l'altra. Io stesso abito in un bairro pieno di boca de fumo e di trafficanti che dettano le leggi del quartiere.
La mia proposta nell'APAC femminile è nel campo della valorizzazione e formazione umana, scegliere un tema e discuterne insieme, magari con ausili di video, film, musica, per parlare di argomenti che possano essere utile nella crescita e riflessione personale.Vediamo, sono fedele al motto che dice che il cammino si apre camminando, è la frase che mi accompagna in questa esperienza, è il bastone su cui i miei piedi ricevono l'appoggio strada facendo....un passo alla volta e ogni passo una continua scoperta, una continua direzione. Que Deus abençoa este caminho.

La cosa bella dell'APAC è che non c'è polizia, non ci sono controlli, attese come quando si entra nel carcere comune. C'è un senso di sicurezza e di agio che non trovi in nessuna prigione gestita da poliziotti. In APAC i detenuti e le detenute si auto educano e si responsabilizzano nell'andamento della gestione e dei servizi del carcere stesso, i volontari aiutano in questo. L'APAC (di cui già avevo accennato in alcuni post vecchi)  è una metodologia innovativa e umana in alternativa al sistema detentivo comune. Funziona, è dignitosa, è educativa e non punitiva. Il detenuto/a è valorizzato nel suo percorso di recuperazione nel pieno rispetto dei diritti umani. Scriverò di più su questo perché merita di essere conosciuto.

Domani ritorno a far visita alla Nelson Hungria, sono contenta, tutto il mese di agosto l'ho praticamente saltato.

Settembre...ritorna il caldo, da noi ricomincia la primavera. Infradito forever!!!!

Un saluto a Katia che è venuta a farci visita dall' Italia, oggi è partita....mi sembra un pezzettino di casa che se ne va....attraverso di lei ho riabbracciato tutto il gruppo di Bologna....ciao Bologna, saudade!
 Estamos juntos, sempre!

Eccoci:


                                          io, padre Jorge, Katia e Regina