martedì 21 giugno 2016

Come ti senti? ....
Come stai?....
A volte mi dimentico di farmi queste domande o me le faccio in un lampo, in una fretta che non deve dare troppo spazio al pensiero, perché se no, rischio di sentire forte il dispiacere o la tristezza o....
So che le vivo queste emozioni, che me le porto dentro, che mi bussano alla porta del cuore, che mi feriscono e lasciano in bocca il sapore amaro della vita.
E' morto un altro detenuto che conoscevo, conoscevo da due anni, André!
Oggi ho chiesto di lui, perché è da un pò che non lo incontravo e così mi hanno detto.
E' stato ammazzato fuori dal carcere, è tornato a casa e ha ricevuto il suo "benvenuto" con tre tiri di arma da fuoco. Lo hanno aspettato tutti questi anni per chiudere una partita che non si era mai conclusa e che continuava, anche, dentro ad un carcere. Vendetta, regolamento di conti, guerra tra gruppi.
André aveva 26 anni.
Ogni tanto telefonavo a sua mamma, che stavo conoscendo poco a poco, una signora gentile e disponibile e insieme credevamo in un futuro per André....ci credevamo tanto!!
E adesso.....
La notizia è stata come una pallottola che ha squarciato una speranza che non esiste più e in quello squarcio e come se "morissi" anche tu.
Ci parlavo tanto con lui, sempre.
Gli avevo regalato il rosario missionario di S. Daniele Comboni, gli piaceva nella particolarità dei suoi colori: azzurro, rosso, giallo, verde e bianco.
A volte lo riprendevo simpaticamente per le idee bizzarre che tirava fuori o quando parlava dei suoi trascorsi amorosi. Mi sentivo come una "sorella maggiore" che dava consigli o lo "rimproverava".
Si era creata una buona relazione e sempre, sempre, ci si aspettava nell'orario di visita nel padiglione dove stava. Mi chiedeva di chiamare la madre, mi invitava a conoscerla, mi faceva leggere le lettere che scriveva alle ex innamorate, mi parlava del suo desiderio di scrivere un libro, la sua storia.
Sento dolore mentre scrivo queste righe, mi passano le immagini di queste due anni trascorsi con lui.
Il suo sorriso, i sogni, le speranze, le paure, un passato grande e ingombrante per un ragazzo di soli 26 anni.
Ti ci affezioni alle persone, alle loro storie, ci metti tutta te stessa nel cercare di aiutare a costruire qualcosa di buono, a crederci, a lavorarci sopra. Così è stato con André. Gli volevo bene e volevo il suo bene.
Mi rimane una lettera che mi ha scritto, mi rimane il suo ricordo, che sempre starà con me, mi rimane il numero della sua mamma che, ancora, chiamerò.
Ciao André....ciao per sempre.


Ci sono guerre che sono guerre, anche se non sono ufficiali, anche se non usano bombe o carri armati, ma sono sempre guerre, per il numero di persone ammazzate, per la mentalità generata da una violenza che incita all'odio, alla vendetta, alla supremazia, al potere, al denaro.
Guerre tra gang, guerre per il narcotraffico, guerre di droga, guerre di bande, di organizzazioni criminali. Questa è la triste e difficile realtà delle favelas, dei bairros di periferia, dove non esiste pace se non in un tiro di arma da fuoco che chiude per sempre regolamenti di conti, in realtà fragili e vulnerabili, ferite e disprezzate.
"E' così...è guerra..." questo mi dicono chi è coinvolto o chi è stato coinvolto....e la maggior parte dei detenuti hanno conti in sospeso o aspettano di risolvere quello che non hanno terminato, perché presi dalla polizia. Vendette, guerra che non si ferma, ne si vuole fermare, ne vogliono fermare.
Mi trovo dentro ad una mentalità così dura e difficile, così forte da contrastare che ne esci priva di forze. Ci provi a dire che questa non è la normalità, che non deve essere così, che non si può accettare, ma hai di fronte una montagna che non sai da che parte scalare.
Con il mio amico Vinicius, un giovane che vive in un bairro vicino al mio, a volte parliamo di tutta questa violenza che scorre nelle nostre strade e sempre concordiamo sul punto di partire dalla scuola, dall'educazione. Vinicius studia musica all'UFMG (Università Federale del Minas Gerais) e lavora in alcuni centri d'infanzia facendo musica con i bimbi.
Partire dalla base perché è proprio da lì che si impara, si cresce, con l'attenzione, la cura, la bellezza dei gesti e dei pensieri.
 I bambini che abitano nel mio bairro, già da piccoli usano un linguaggio o hanno un atteggiamento che li porta alla violenza o a voler "distruggere" l'altro. Quando litigano urlano: "guarda che ti ammazzo" e fanno il gesto di avere tra le mani una arma. Si insultano e disprezzano la debolezza dell'altro, pensando che la forza viene dalla prepotenza o dal possesso. Sono bimbi che facilmente entrano nella rete di trafficanti, di chi li usa per il proprio commercio, una palestra per il mondo del crimine. "Questo mi hanno insegnato, quando ero piccolo, per avere soldi e averne tanti", testimonianza di C. in prigione.
Le storie sono tutte simili, la realtà è quella montagna che è difficile da scalare.
Andrè faceva parte di questa realtà e stavamo cercando di scalarla insieme questa montagna rocciosa.
Non c'è stato tempo, non ce l'abbiamo fatta.....
Ogni giorno ci provo, ci proviamo come equipe della pastorale carceraria, con le nostre cicatrici e escoriazioni, ma fedele ad un sogno che non rinuncia a credere che si può cambiare, si può seminare.
Carichi il dolore, carichi le sconfitte, carichi la pazienza, carichi la stanchezza, tutto sulle spalle....ma ricominci, passo dopo passo, perché quella montagna la vuoi scalare.













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