lunedì 25 gennaio 2016
Un poco di terra nella mano da lanciare prima che si chiuda per sempre la fossa di cemento che racchiude il corpo. Terra e fiori, che si alternano sulla bara.
Nessuna parola se non il semplice rumore di quei gesti....terra e fiori.
L'ultimo saluto al padre di Carlos, un amico di noi laici missionari Comboniani.
Altro velorio (veglia funebre), altro incontro dove si respirano lacrime e dispiaceri.
Dove si sale su un autobus a noleggio per raggiungere il cimitero, perché si è troppo poveri per avere la macchina, ma non così poveri da non poter pagare un autobus per andare tutti quanti insieme.
Questa volta il cimitero è bello, non come quello di Contagem, grigio e freddo.
E' prato, è verde, è accogliente, fa meno male guardarlo nel suo insieme.
Altra morte che tocco con mano, tocchiamo con mano. Ho perso il conto di quanti velori ho partecipato in questi due anni, di persone conosciute o che erano conosciute nella comunità.
Ed è proprio perché si è comunità che si sale su quell'autobus a noleggio e si va insieme, per stare vicino, per fare le nostre condoglianze, per essere presenza con un abbraccio e una preghiera.
Per esserci, come sempre, perché ogni lacrima è diversa.
La morte è sempre stata vicina nella mia camminata scalza in questa parte di mondo e forse l'ho sempre sottolineata su questo taccuino virtuale.
E' così reale, così vicina nelle persone che accompagniamo, che conosciamo, nel posto dove viviamo che non si può non saperla incontrare, non si può non saperla affrontare, non si può averne paura.
E' sorella morte, come diceva S. Francesco.
Ma quando è una morte che arriva per colpa di una malattia che non è stata curata, per colpa di una pallottola o di una sparatoria, per colpa di una violenza, fa male.
Fa male sentirla arrivare nel suono degli spari o nella rassegnazione di chi non ha più possibilità per rinviarla (non ci sono cure, non ci sono soldi per pagare una buon ospedale...).
Fa male perché è ingiusta e perché è carica di rabbia.
Le ingiustizie, per alcune persone, piovono come macigni sulla fragilità della vita, rompendola senza pietà, senza diritto. E allora, sì, sorella morte è carica di quel dolore che pare sia buttato di proposito contro chi potrebbe avere ancora tempo per sperare, potrebbe ancora avere sogni da respirare.
C'è una canzone di Ligabue che ha un titolo che mi piace molto: Sono sempre i sogni a dare forma al mondo.....Sono sempre i sogni a fare la realtà. Sogna chi non crede che sia tutto qui.
Pensando a questo mondo così rovesciato, così malandato forse stiamo sognando male o forse non stiamo più sognando.
Ma io continuo a sognare a non aver paura dei miei sogni e a tenerli per mano fino all'ultimo saluto, perché questi macigni che maltrattano così forte la vita facciano meno male e forse aiutarli a sparire per sempre.
giovedì 21 gennaio 2016
Una chiesa che si affaccia sull'Oceano, che guarda l'azzurro del mare e del cielo, capace di trasformare i rumori del cuore in silenzi leggeri e profondi, in un mantra danzato dalle onde del mare.
e........
.....una finestra dove tuffarsi con i pensieri, in quell'infinito che sa di pace e di libertà.
Queste foto le ho fatte in Salvador de Bahia, in una giornata dove la pioggia e il sole si contendevano il cielo, su uno sfondo di mare azzurro e cristallino, nell'isola di Mar Grande.
Gennaio è tempo di ferie, come agosto in Italia, le attività si fermano, le persone viaggiano, ci si prende una pausa. Anch'io mi sono presa una pausa, di una settimana, per conoscere un pò di più questo Brasile con le sue mille sfaccettature: luoghi, persone, culture.
Sono stata in Salvador de Bahia a trovare un'amica, Janilde, che vive in una comunità che accoglie moradores de rua (persone di strada). La Comunità si chiama Trindade, un bell'esempio di comunità ecumenica, capace di accogliere chiunque, senza pregiudizi o etichette, senza presunzioni o verità assolute. Fondamentale questa predisposizione in un mondo dove ti riempiono di domande ancora prima di essere conosciuto: chi sei? da dove vieni? quale è la tua religione? chi voti? qual è la tua discendenza?...ecc...ecc...ecc....come se le domande servissero a fare da scudo a quelle paure che alimentano l'incapacità di accettare e conoscere la diversità, di dialogare con la diversità.
Semplicemente in questa comunità ci si accoglie con un: "Benvenuta, Benvenuto, siediti con noi se vuoi e stai.".
La comunità Trindade nasce nel 1989 quando un monaco pellegrino francese, Henrique, dopo aver vissuto tanti anni per strada accanto ai moradores de rua, incontra nel suo cammino una vecchia chiesa abbandonata che diventerà rifugio e casa per chi non ha una casa.
Trindade accoglie oggi persone che desiderano uscire da una situazione di strada, con un passato di droga, alcool, emarginazione. Le persone dormono dentro la chiesa, ognuno con un suo materasso e cuscino, abbandonando il cemento duro della strada e quei cartoni che riparano dal freddo.
Un posto dove poter mangiare, dove potersi lavare e ricominciare. Dove poter recuperare quella dignità calpestata su di un marciapiede o gettata dentro un viadotto.
Si vive di artigianato, creato dal riciclo di materiale di scarto: plastica, bottiglie, vetro, copertoni, tutto può trasformarsi in arte e creatività. Si vive dal recupero di lattine di alluminio o carta da vendere a chi, poi, riutilizza, si vive di piccoli lavori che si riescono a trovare, creando una cassa comune che aiuta economicamente la vita di tutti i giorni.
Si vive con semplicità, dignità, fraternità.
In quei pochi giorni in Salvador ho preso anch'io il mio materasso e dormito dentro quella chiesa così speciale e ricca di umanità. Ho condiviso il pane e quei piccoli gesti di comunione e autenticità, che ti portano ad abbracciare così forte la Vita e la bellezza del suo Mistero.
Ci si deve adattare quando si va a visitare la comunità Trindade, specialmente nell'isola di Mar Grande, dove l'acqua è presa dalla pioggia o da un pozzo, dove il bagno è fuori a cielo aperto e la doccia è fatta di secchi di acqua fredda guardando l'azzurro del mare e accogliendo il vento sulla pelle nuda....che sensazione di libertà!!!! Veramente!
E il forno è fatto di legna che brucia dentro un camino, senza bombole di gas da riempire o da comprare. Tutto è semplice, tutto è nel rispetto della natura e della situazione di vita in cui si vive.
C'è poi la comunità Trindade in Salvador città. Sempre una chiesa abbandonata, sempre trasformata in luogo di rifugio, di casa.
Qui le persone accolte sono molte di più, è la prima tappa per iniziare un cammino di recuperazione e per iniziare a vivere in Comunità. Si trova in un luogo periferico non molto lontano dal centro cittadino, ma situato in un punto dove ci sono molti moradores de rua. La messa di Natale della Comunità è stata celebrata per strada, sotto un viadotto.
Interno della Chiesa dove vivono, dormono le persone della Comunità Trindade e dove si accolgono le persone che cercano un posto dove dormire.
C'è un progetto a cui partecipa la Comunità, in collaborazione con la diocesi di Salvador, che si chiama "Levanta - te e Anda" (alzati e cammina). Un posto di prima accoglienza dove ricevere informazioni, aiuto, dove poter riposare un pò, dove potersi lavare, ricevere un caffè, leggere un libro, parlare con uno psicologo e un assistente sociale. Dove poter iniziare un cammino che apre le porte della Comunità Trindade.
Trasformati, Alzati, Cammina, Svegliati........Rinasci
Aurora da Rua è il giornale di strada creato nella Comunità, una voce alternativa di chi vive la strada, di chi sta dall'altra parte della barricata, di chi ha una visuale diversa da quella comune. E' un pò come il giornale di strada Piazza Grande di Bologna, creato dai "senza tetto" o giornali simili in altre città italiane o nel mondo. Sono gli stessi moradores che lo vendono per le strade facendolo conoscere al pubblico. L'invisibilità che si trasforma in parole, pensieri, opinioni, racconti, storie, concrete, reali, VISIBILI.
Redazione di Aurora da Rua con una volontaria.
Salvador è una città che mi è piaciuta molto, mi ci sono sentita a mio agio, è una città allegra, ricca di storia, cultura, di incontro e dialogo tra diverse religioni e tradizioni, tra cui quelle di origine africane come il Candomblè. C'è molta Africa in Bahia! E' lo stato brasiliano con la percentuale più alta di popolazione nera.
Gli schiavi africani catturati e portati in Brasile continuarono a mantenere le loro religioni di nascosto, usando l'artifizio di affiancare a ogni loro divinità un santo o divinità cattolica (Oxalà-Gesù, Ogun-S. Antonio e così via), così facendo continuarono a praticare le loro credenze originali che venivano proibite. Nacque e si sviluppò un sincretismo tra religione animista e cattolicesimo.
I Terreiros (spazi, terreni davanti o dietro alle case) costituiscono luoghi dove si praticano le cerimonie del Candomblè. I Terreiros sono in genere dei terreni molto ricchi di vegetazione e di alberi. Si trovano in generale in luoghi un po’ appartati, un tempo erano molto lontani dalle zone abitate per motivi di segretezza o anche perché il rumore del suono dei tamburi avrebbe potuto disturbare o intimorire i bianchi. Gli Orixás o divinità che si celebrano sono anche la personificazione di forze della natura o persone fisiche divinizzate col tempo. Un aspetto molto specifico del Candomblè è la possessione o il trance. Ogni persona ha la sua divinità o Orixá, una specie di angelo custode o protettore con le sue caratteristiche e la sua personalità
La comunità, il gruppo religioso del Candomblé ha una autorità suprema: la Mãe-de-Santo o il Pai-de-Santo. Tutta la vita religiosa, le feste, le cerimonie si svolgono sotto la loro direzione.Nel Candomblé la musica svolge un ruolo importante, fondamentali sono i tocchi dei tamburi.
I canti sono delle preghiere alle varie divinità, agli Orixás per ringraziarli e invitarli a scendere sulla terra, per chiedere la loro benedizione. Canti che sono guidati dalla Mãe, dal Pae o dalla Mãe Pequena. La musica passa dalla calma dei riti di propiziazione (“il Despacho”) alla violenza degli appelli alle divinità dal temperamento forte.
Ce ne sarebbe da parlare e molto, ma lascio a chi è interessato la libertà di cercare riferimenti e studi sopra questa religione che per anni è stata discriminata, insultata, considerata pura magia, cosa che non è assolutamente vera. Non ho avuto tempo di assistere ad una celebrazione del Candomblè, troppo breve una settimana, ma mi sono promessa di trovare la possibilità, più avanti, di parteciparvi, è grande la mia curiosità e interesse per conoscerlo da vicino...molto vicino.
La cosa bella di Salvador è proprio il rispetto e il dialogo ecumenico tra le varie religioni, che sanno convivere e "mischiarsi" a vicenda.
Io ho partecipato alla processione/festa di Lavagem de Bonfim, considerata la seconda maggiore manifestazione popolare di Bahia. Un rituale che si ripete tutti gli anni dal 1754, riunisce migliaia di persone che si concentrano davanti alla Chiesa de Nossa Senhora de Conceição da Praia fino alla Chiesa di Nosso Senhor de Bonfim, una camminata di 8 km, sotto un sole caldo e cocente.
Il corteo è caratterizzato dalle Bahiane vestite tipiche con turbanti e vasi di acqua profumati.
Acqua che sarà utilizzata come simbolo di purificazione davanti alla cattedrale de Nosso Senhor de Bonfim. Tutti si vestono di bianco, colore de Oxalà- Gesù o Nosso Senhor de Bonfim.
Una processione che unisce il sacro con il profano, la preghiera con la festa, tradizione, cultura e popolo.
Un festa che vede partecipare e invitare tutti i rappresentanti delle varie istituzioni religiose, dal candomblè, a quelle cattoliche, induiste.....una festa che sa parlare di Pace e di Rispetto.
Amen!
Janilde con una Bahiana durante la camminata.
A piedi nudi...........
I love Salvador de Bahia!!!!
domenica 27 dicembre 2015
Dicembre
Mi piace questa foto, anche se non è perfetta.....ma noi non siamo perfetti, per questo siamo BELLI!!!
Sono le nostre imperfezioni a dare quel tocco di originalità che ci rende speciali.
Imperfezioni fisiche, caratteriali, personali: NOI con le nostre piccoli e grandi storie.
Questo è il gruppetto di Espaço Esperança, nel giorno di chiusura per la pausa estiva/natalizia (Natale qui cade in estate, nei mesi estivi!).
Dicembre è il mese delle confraternizaçãos, delle feste per dirsi Grazie, per dirsi Arrivederci e per fare un piccolo bilancio prima di iniziare il nuovo anno.
Anche il nostro piccolo gruppetto ha voluto dirsi Grazie con la voglia di ritornare a febbraio, mese in cui si riapre (gennaio è periodo di ferie).
Nonostante le difficoltà andiamo avanti, in un bairro carico di molta violenza e traffico di droga.
Ci siamo, restiamo e resistiamo fino a quando le nostre condizioni ce lo permetteranno. Io e Lucilene siamo le uniche due volontarie.
Il mercoledì pomeriggio è l'appuntamento fisso con il nostro gruppetto di artigianato, fatto di adolescenti, bambini con situazioni familiari difficili, alla ricerca di un posto dove imparare, inventare, creare, socializzare, stare!
Dicembre.....
è messa di Natale alla penitenziaria NH, luogo che è diventato per me una seconda Comunità.
Celebrare il Natale con i detenuti è celebrare il Natale della giustizia, del perdono, della Misericordia, dell'inclusione, della Vita che non smette di esistere dietro una grata, di una Vita che sa e può rinnovarsi. Quel Bambino che si aspetta in quella notte è un Bambino che arriva per tutti, nessuno escluso, ogni cuore è una "mangiatoia" pronto ad aspettarlo.
Dicembre....
è la Novena fatta nella nostra Comunità del bairro di Ipe Amarelo.
Un incontrarsi per riflettere insieme sul significato del Natale, nella nostra vita, nella nostra Comunità. Un 25 dicembre che è solo un giorno o quel giorno si moltiplica nei miei giorni?
Il nostro bairro è un bairro povero, costituito da gente semplice e di grande vulnerabilità, in una periferia di mondo fatta di violenza, povertà, esclusione. Ma anche qui si trovano le luci di Natale sistemate in qualche modo su muri di mattoni e cemento e brillano che è un piacere nell'oscurità della notte...brillano di più che nel centro della città.
Questa Comunità, poi, mi ha fatto un gran regalo....perché dicembre è anche il mio compleanno.....una serenata inaspettata per festeggiarmi, una serenata dopo il nostro incontro di novena. Una bella e meravigliosa sorpresa. E' proprio vero che i doni materiali non hanno nessun sapore, ne valore rispetto ai doni del cuore e alla bellezza dei semplici gesti, fatti di gratitudine.
Straordinaria emozione!
Dicembre.....
è la bellezza del Natale e di quel Mistero che continua a camminare con noi.
Che i nostri cuori possano essere davvero una mangiatoia capace di accogliere con allegria e amore quel Bambino che ogni anno non si stanca mai di incarnarsi in questo mondo.
Feliz Natal
Dicembre.....
è la fine dell'anno.
Tutti con lo sguardo all'insù, verso quei sogni e speranze che si accendono con i fuochi d'artificio,.
Per me sarà l'inizio di una nuova tappa, la terza, il mio terzo anno in missione.
Mi sembra ieri che iniziavo a scrivere su questo taccuino digitale, ma poi riflettendoci bene mi accorgo che non è così. I due anni trascorsi si sentono, sulle spalle, un poco più curve, sui miei piedi, un poco ammaccati, sul mio volto, con qualche ruga in più, sui miei pensieri, carichi di tante emozioni e scoperte, belle e meno belle. Ora vado aggiungere il terzo anno e anch'io con il mio sguardo all'insù carico di speranze e attese. Il 2015 è stato un anno importante, bello e leggero nella prima parte, pesante e faticoso nella seconda...molto pesante, in particolare nella vita comunitaria.
Ma è stato un anno che mi ha visto entrare sempre di più nel mio servizio missionario, che mi ha visto raggiungere una certa autonomia nelle scelte, fatte con impegno e coraggio, fatte con dedizione e interesse, fatte con passione. E' questo servizio che mi ha sempre aiutato a darmi la carica per andare avanti, a non mollare, a saper togliere di dosso quella polvere sporca e pesante che inciampava il mio cammino.
La pastorale carceraria, il gruppo di famiglie Testemunhas da Esperança, il piccolo gruppo Espaço Esperança, gli incontri in APAC femminile, la Comunità di Ipe Amarelo, sono diventati le mie priorità, il mio esserci, la mia condivisione, il mio "presepe" vivente....e io dentro a questo presepe.
mercoledì 23 dicembre 2015
E se devi abbracciare fallo forte. O non farlo affatto. L'abbraccio è una cosa seria. Se qualcuno mi chiedesse "Qual è il posto migliore in cui sei stato?", risponderei "Un abbraccio, quell'abbraccio". Respiri emozioni che il respiro te lo tolgono. E vuoi tornarci. Vuoi tornarci più volte che si può. Da certi abbracci non ci esci mai abbastanza. Sono attimi che ti cammineranno dentro per sempre. Ti faranno piangere o sorridere. Avrai tante parole o un nodo in gola da non poterne parlare.
A. De Pascalis
Bello questo piccolo testo di De Pascalis, me ne sono innamorata e così ho voluto ritagliarlo e incollarlo tra le pagine dei miei appunti. Sì, l'abbraccio è una cosa seria. Nell'abbraccio ti puoi riposare, ti puoi ricaricare, ti puoi sostenere, ti puoi donare.
L'abbraccio può superare anche le barriere di una grata di ferro, che ostacola sì, ma che non ferma il desiderio di volersi bene e ringraziarsi. Le braccia in qualche modo arrivano al cuore, nonostante quella barriera non permetta di appoggiare la testa per riposarsi uno sulla spalla dell'altro.
Certi abbracci nascono così, come oggi alla penitenziaria NH, per dirsi "grazie" per dirsi "Buon Natale e...buon compleanno" , abbracci sinceri che fanno piangere o sorridere.
Mi sto rendendo conto di quanto il mio servizio missionario nella pastorale carceraria sta entrando sempre di più nella mia vita, quanto tempo ci sto dedicando e di come questo sta occupando sempre di più i miei pensieri. Ci metto me stessa in questa battaglia per cercare di cambiare un'idea di carcere che non sia solo punitivo, ma al contrario educativo, che rispetti i diritti umani e che aiuti nella recuperazione dei detenuti. Detenuti/e che non sono scarto della società, ma uomini e donne capaci di cambiare, di recuperare la propria vita e di renderla migliore. Pagare la propria colpa senza umiliazioni, violenze, ma con dignità e rispetto, perché è questo che deve insegnare la società.
Ognuno cresce solo se è sognato diceva Danilo Dolci, se è valorizzato, stimato e amato.
Saper abbracciare aiuta a fare anche questo, ma solo se è fatto seriamente, se è un abbraccio sincero e carico di quei sogni che aiutano a crescere.
E in prigione c'è bisogno di tanti abbracci, soprattutto di quelli che aiutano a perdonare e perdonarsi.

L'abbraccio può superare anche le barriere di una grata di ferro, che ostacola sì, ma che non ferma il desiderio di volersi bene e ringraziarsi. Le braccia in qualche modo arrivano al cuore, nonostante quella barriera non permetta di appoggiare la testa per riposarsi uno sulla spalla dell'altro.
Certi abbracci nascono così, come oggi alla penitenziaria NH, per dirsi "grazie" per dirsi "Buon Natale e...buon compleanno" , abbracci sinceri che fanno piangere o sorridere.
Mi sto rendendo conto di quanto il mio servizio missionario nella pastorale carceraria sta entrando sempre di più nella mia vita, quanto tempo ci sto dedicando e di come questo sta occupando sempre di più i miei pensieri. Ci metto me stessa in questa battaglia per cercare di cambiare un'idea di carcere che non sia solo punitivo, ma al contrario educativo, che rispetti i diritti umani e che aiuti nella recuperazione dei detenuti. Detenuti/e che non sono scarto della società, ma uomini e donne capaci di cambiare, di recuperare la propria vita e di renderla migliore. Pagare la propria colpa senza umiliazioni, violenze, ma con dignità e rispetto, perché è questo che deve insegnare la società.
Ognuno cresce solo se è sognato diceva Danilo Dolci, se è valorizzato, stimato e amato.
Saper abbracciare aiuta a fare anche questo, ma solo se è fatto seriamente, se è un abbraccio sincero e carico di quei sogni che aiutano a crescere.
E in prigione c'è bisogno di tanti abbracci, soprattutto di quelli che aiutano a perdonare e perdonarsi.

lunedì 7 dicembre 2015
Oggi sono andata a far visita alla madre di una detenuta.
La casa si trova in una favela di Belo Horizonte.
E' la prima volta che visitavo la persona e il posto.
Mi sono trovata di fronte ad una situazione di estrema miseria materiale e umana.
Durante le mie visite in carcere A. (detenuta) mi aveva informato della realtà fragile e preoccupante in cui viveva con sua mamma, prima di essere presa, una realtà di forte vulnerabilità.
Oggi ho trovato conferma nelle sue parole, nelle sue preoccupazioni e nei suoi pianti, che mi hanno spinto a fare questa visita.
La casa, se così si può chiamare, è formata da due sole stanze buie e con un pavimento di terra. Niente piastrelle e solo muri di mattoni, senza essere rivestiti dal cemento.
Poche cose, vecchie e malandate, con una scarsa cura nell'insieme.
Nel ricevermi una signora di soli 51 anni, con un aspetto che ne dimostrava molti di più e un bimbo sempre in braccio che ancora non cammina: sono la mamma di A. e suo figlio di soli 11 mesi.
La signora parlava sempre con la testa bassa, quasi si vergognasse della sua situazione, descrivendo un passato di alcool e depressione, di precarietà e difficoltà economiche al limite della sopravvivenza.
Ascoltando la sua storia il mio pensiero andava ad A. e mi era chiaro il perché delle scelte sbagliate che aveva fatto, non per giustificarle, ma per comprenderle.
Sono praticamente sole, nessun marito o uomo di casa che possa aiutare, uomini che non esistono, se non negli abbandoni e violenze ripetitive impresse nei ricordi di queste giovani donne, madre e figlia.
Sono uscita da quella casa con una profonda tristezza e tante riflessioni.
Man mano che l'autobus si avvicinava al centro, pieno di negozi in stile natalizio, mi chiedevo come sarebbe stato il Natale per quella signora e quel bimbo.
Di certo un Natale non seduta ad una tavola apparecchiata con una bella tovaglia, con piatti ricchi di cose buone da mangiare, con gente allegra che si scambia auguri, sorrisi e abbracci.
Niente regali e regalini, niente pensieri o pensierini.
Un Natale in solitudine, con una figlia in carcere e un bimbo che a mala pena la sa abbracciare, in una casa fatta di niente, buia e sporca, in un luogo dove gli addobbi natalizi non arrivano.
E assieme a lei mi sono venute in mente tutte le detenute e detenuti che cominciano a pensare al Natale come ad un giorno triste, perché non potranno sedersi ad una tavola con i loro familiari.
Sarà dentro una cella piena di ricordi.
Poi penso a chi vive per strade, a chi non ha niente, a chi....e penso a come è diverso questo Natale per loro, così lontano da quello sponsorizzato dalla televisione.
Sarà che ho iniziato a vedere le cose dall'altro margine, quello dove si fa fatica a scavalcare perché disturba e "sporca" l'immagine bella e patinata di una realtà "perfetta", un margine dove si incontrano gli abbandonati, i carcerati, le famiglie in situazione di povertà, gli esclusi.
E allora penso a come mi piacerebbe prendere una bella tovaglia e collocarla su una tavola lunga, lunghissima dove si possono sedere tutte le persone provenienti da questo margine, una tavola imbandita di tutte le cose buone che si mangiano a Natale, una tavola dove si respira la spensieratezza dell'allegria. Un Natale per tutti.
E penso a come bisogna saper ringraziare quando si ha e si può, non perché ci si deve sentire in colpa, ma perché bisogna sentirsi grati delle cose che si hanno e che si ha la possibilità di vivere, senza lamentarsi. Grazie è una bella parola.
Sarebbe bello ritornare a vivere il Natale nel suo significato più profondo, ma dipende da noi e dalla voglia di saper scavalcare quel margine che divide e separa, magari iniziando a sederci accanto a chi non è mai invitato.
La casa si trova in una favela di Belo Horizonte.
E' la prima volta che visitavo la persona e il posto.
Mi sono trovata di fronte ad una situazione di estrema miseria materiale e umana.
Durante le mie visite in carcere A. (detenuta) mi aveva informato della realtà fragile e preoccupante in cui viveva con sua mamma, prima di essere presa, una realtà di forte vulnerabilità.
Oggi ho trovato conferma nelle sue parole, nelle sue preoccupazioni e nei suoi pianti, che mi hanno spinto a fare questa visita.
La casa, se così si può chiamare, è formata da due sole stanze buie e con un pavimento di terra. Niente piastrelle e solo muri di mattoni, senza essere rivestiti dal cemento.
Poche cose, vecchie e malandate, con una scarsa cura nell'insieme.
Nel ricevermi una signora di soli 51 anni, con un aspetto che ne dimostrava molti di più e un bimbo sempre in braccio che ancora non cammina: sono la mamma di A. e suo figlio di soli 11 mesi.
La signora parlava sempre con la testa bassa, quasi si vergognasse della sua situazione, descrivendo un passato di alcool e depressione, di precarietà e difficoltà economiche al limite della sopravvivenza.
Ascoltando la sua storia il mio pensiero andava ad A. e mi era chiaro il perché delle scelte sbagliate che aveva fatto, non per giustificarle, ma per comprenderle.
Sono praticamente sole, nessun marito o uomo di casa che possa aiutare, uomini che non esistono, se non negli abbandoni e violenze ripetitive impresse nei ricordi di queste giovani donne, madre e figlia.
Sono uscita da quella casa con una profonda tristezza e tante riflessioni.
Man mano che l'autobus si avvicinava al centro, pieno di negozi in stile natalizio, mi chiedevo come sarebbe stato il Natale per quella signora e quel bimbo.
Di certo un Natale non seduta ad una tavola apparecchiata con una bella tovaglia, con piatti ricchi di cose buone da mangiare, con gente allegra che si scambia auguri, sorrisi e abbracci.
Niente regali e regalini, niente pensieri o pensierini.
Un Natale in solitudine, con una figlia in carcere e un bimbo che a mala pena la sa abbracciare, in una casa fatta di niente, buia e sporca, in un luogo dove gli addobbi natalizi non arrivano.
E assieme a lei mi sono venute in mente tutte le detenute e detenuti che cominciano a pensare al Natale come ad un giorno triste, perché non potranno sedersi ad una tavola con i loro familiari.
Sarà dentro una cella piena di ricordi.
Poi penso a chi vive per strade, a chi non ha niente, a chi....e penso a come è diverso questo Natale per loro, così lontano da quello sponsorizzato dalla televisione.
Sarà che ho iniziato a vedere le cose dall'altro margine, quello dove si fa fatica a scavalcare perché disturba e "sporca" l'immagine bella e patinata di una realtà "perfetta", un margine dove si incontrano gli abbandonati, i carcerati, le famiglie in situazione di povertà, gli esclusi.
E allora penso a come mi piacerebbe prendere una bella tovaglia e collocarla su una tavola lunga, lunghissima dove si possono sedere tutte le persone provenienti da questo margine, una tavola imbandita di tutte le cose buone che si mangiano a Natale, una tavola dove si respira la spensieratezza dell'allegria. Un Natale per tutti.
E penso a come bisogna saper ringraziare quando si ha e si può, non perché ci si deve sentire in colpa, ma perché bisogna sentirsi grati delle cose che si hanno e che si ha la possibilità di vivere, senza lamentarsi. Grazie è una bella parola.
Sarebbe bello ritornare a vivere il Natale nel suo significato più profondo, ma dipende da noi e dalla voglia di saper scavalcare quel margine che divide e separa, magari iniziando a sederci accanto a chi non è mai invitato.
sabato 5 dicembre 2015
pisca-pisca......così si chiamano le luci di Natale qua.
Anche noi abbiamo iniziato ad addobbare la nostra casa in stile natalizio, per la felicità delle bimbe dei nostri vicini di casa che dividono il cortile con noi.
Pisca-pisca intrecciate tra le foglie dell'uva, in uno spazio fatto di mattoni e terra, di fiori e piante, con al centro un cattura sogni che imprigiona i pensieri tristi e i sogni non buoni.
Agata e AnaFlavia, di 4 e 1 anno e mezzo, danzano sotto i colori delle piccole luci natalizie assaporando l'arrivo dei giorni di festa.
E' un'atmosfera tutta particolare, lontana dalle luci commerciali della città e da quel Babbo Natale sponsorizzato dalla Coca-Cola. Il nostro sponsor sono le risate delle bimbe e i loro "ohh..." quando le luci si accendono.
Quell'accendersi e spegnersi colorato illumina il buio della notte, regala sorrisi e rende leggeri i pensieri.
...pisca-pisca.....
Anche noi abbiamo iniziato ad addobbare la nostra casa in stile natalizio, per la felicità delle bimbe dei nostri vicini di casa che dividono il cortile con noi.
Pisca-pisca intrecciate tra le foglie dell'uva, in uno spazio fatto di mattoni e terra, di fiori e piante, con al centro un cattura sogni che imprigiona i pensieri tristi e i sogni non buoni.
Agata e AnaFlavia, di 4 e 1 anno e mezzo, danzano sotto i colori delle piccole luci natalizie assaporando l'arrivo dei giorni di festa.
E' un'atmosfera tutta particolare, lontana dalle luci commerciali della città e da quel Babbo Natale sponsorizzato dalla Coca-Cola. Il nostro sponsor sono le risate delle bimbe e i loro "ohh..." quando le luci si accendono.
Quell'accendersi e spegnersi colorato illumina il buio della notte, regala sorrisi e rende leggeri i pensieri.
...pisca-pisca.....
Lavori di artigianato allo Espaço Esperança:
Ecco alcuni lavoretti del mercoledì pomeriggio, giorno della settimana dedicato all'artigianato.
Spazio Speranza ora è solo il mercoledì pomeriggio e resiste affrontando le sfide numeriche e motivazionali. Ci sono giorni in cui ci troviamo di fronte ad un numero di ragazzini/e numericamente bello animato e altri che si contano solo sulle dita di una mano. Ma noi continuiamo finché sarà possibile, per offrire un'alternativa in un bairro dove regna droga e violenza e nient'altro!
Per ora io e Lucilene ( una volontaria) ci occupiamo di questo spazio, chi portava avanti teatro il venerdì pomeriggio ci ha rinunciato.......sarà che per noi i numeri non sono così importanti, 7, 8, 10 persone è bello lo stesso, come 4, 3 o 2. Quando si conoscono le storie di questi ragazzini/e ti fa venire voglia di continuare e di creare quell'alternativa che può generare speranza e accoglienza.
Per esempio, Carlos ha 12 anni e vive solo con suo nonno, un signore anziano che non si prende cura di lui. Passa la maggior parte del suo tempo per strada, è un piccolo "bulletto" di quartiere che ascolta musica funky e si atteggia da persona grande. Sappiamo cosa significa vivere per strada qui, entrare in certi giri e buttare la propria vita a rischio e lui lo sta già facendo.
Carlos è solo un bambino che è stato dimenticato, pieno di ferite e vuoti che lo stanno trascinando giù.
E se anche partecipa il mercoledì pomeriggio una volta si e due no, tenere la porta aperta di Espaço Esperança quel giorno della settimana è importante.
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